L’Atlas del Continente Africano (Prefazione)

Pubblicato il 20 Agosto 2006 da mb

vede la sua ora: in questo ultimo decennio del XX° secolo, al quale, si dimentica molto spesso che l’Africa ha tanto portato.

Prima di tornarci, per puntualizzare gli apporti dell’Africa-Madre, come chiamo il nostro continente, vorrei ricordare è lì che è apparso l’uomo per la prima volta, 2 500 000 anni fa. E ancora lì che gli Egiziani hanno inventato sia la prima scrittura che la scienza delle matematiche. Niente di stupefacente, dal momento, che i Greci, meticciati (mescolati, ndr), siano andati ad imparare, con la filosofia, la scienza delle matematiche.

In questi primi apporti decisivi, che hanno fatto, del Mediterraneo, la sorgente e il centro nello stesso tempo della civilizzazione umana, bisogna aggiungere il ruolo decisivo dell’Africa nella creazione della civilizzazione del XX° secolo: quello dell’ Universel.

Ne parlo così tanto liberamente che ho incontrato, a suo tempo, dei poeti surrealisti della Scuola di Parigi, come Paul Eluard e Philippe Soupault.

Quelli non hanno mancato di dirmi l’influenza dell’Africa sulla loro poesia. Curiosamente, ho incontrato dei pittori e scultori della stessa Scuola di Parigi. Penso a Pablo Picasso e Maria Elena Vieira da Silva. Questi qui, molto più che i poeti, dicevano tutto quello che dovevano all’arte africana.

Questa influenza dell’arte africana sull’arte europea spiega perché il continente africano, " l’Afrique – Mère " (l’Africa-Madre), continua ad esercitare il suo incantesimo, nel senso etimologico della parola. Da lì le ragioni scientifiche, perfino economiche, che spiegano questa edizione, c’è , in effetti, una ragione essenziale: culturale. J.A

Léopold Sédar Senghor Dell’Accademia francese.

Picasso l’Africano

Un ammiratore chiamato Senghor

Picasso sul continente africano, non è mai stato visto. Non del tutto. Poiché già, nell’aprile 1972, Léopold Sédar Senghor, come percursore, organizzava nel suo paese, il Senegal, la prima esposizione del genere, consacrata al maestro andaluso. Nessun artista è più esemplare " scriveva allora, per introdurre questa esposizione a Dakar, che riuniva una cinquantina di opere del genio.

" Quello che fa la nostra scelta di Picasso così naturale e così strano nello stesso tempo ", osservava ancora il poeta - presidente. Pablo aveva dei precursori: Matisse, de Vlaminck, Cézanne, Gaugin, ma è finalmente lui che è all’origine della rottura con la pittura accademica. Una rottura sorprendente, dopo la sua " rivelazione " e la sua iniziazione (esordio, ndr) " all’arte negra " , durante la sua visita al museo dell’Uomo, nel 1907. Il quadro che rivela questa inspirazione quasi magica è, senza contesto, " Les Demoiselles d’Avignon " dipinto nello stesso anno.

Nel 1940, passeggiando con il suo amico Picasso, Senghor si ricorda di questa frase enigmatica del maestro: "Dovremmo sempre restare primitivi. " Un pensiero che ravvicinerà dei proposti del poeta Arthur Rimbaud, che evocava, in " Une saison en enfer ", " les barbares ", come una delle sorgenti d’inspirazione della sua poesia.

Quello che Picasso ha definitivamente svelato, è la magia delle origini. Quello che Senghor ha voluto dimostrare, sessanta anni dopo " Les Demoiselles d’Avignon, è che Picasso, con le maschere africane, è andato ad attingere in lui quello che aveva di più andaluso, di più iberico anche, nella sua cultura mediterranea.

Quello che questo creatore di eccezione ci ha insegnato, ci dice Senghor, " a noi, Arabo-Berberi e Africani neri, è che l’artista non può rivelarsi che dopo aver assimilato delle culture straniere, ma soprattutto attingendo nella sua propria identità, la etnicità …Non ho detto razza, afferma Senghor, ma ben culture…"

La scultura negra

La scultura è un altro esempio di arte tradizionale, " il più tipico " delle arti plastiche secondo Senghor. Essa anche si definisce dal suo carattere religioso e " pratico ", la sua vocazione alla " espressione essenziale dell’oggetto ", ma più che per tutte le altre arti, è il ritmo, "elemento vitale per eccellenza" che ne fa lo stile autenticamente negro.

Il merito dell’arte negra è di non essere né gioco, né puro godimento estetico : di significare. Scelgo, tra le arti plastiche, la scultura, l’arte più tipica. Solita la decorazione degli utensili i più semplici del mobiliare popolare, lontano dal deviarli della loro mira e di essere un vano ornamento, sottolinea questa mira. Arte pratica, non utilitaria; e classica in questo primo senso. Soprattutto arte spirituale- si è detto a torto : idealista o intellettuale - perché religiosa.

Gli scultori hanno per funzione essenziale di rappresentare gli antenati morti e i geni con delle piccole statue che siano, nel medesimo tempo, simbolo e abitacolo. Riguarda far afferrare, sentire la loro anima personale come volontà efficace, di fare accedere il surreale.

Con una rappresentazione umana, singolarmente con la rappresentazione della figura umana, riflessione più fedele dell’anima. Il fatto è sorprendente, che le piccole statue antropomorfiche e, tra quelle, le maschere, predominano. Preoccupazione costante dell’Uomo - intermediario. Questa spiritualità si esprime con degli elementi più concreti del reale. L’artista negro è meno pittore che scultore, meno disegnatore e modellatore, lavorando, nelle sue mani, la solida materia a tre dimensioni, come il creatore. Sceglie la materia la più concreta : di preferenza al bronzo, all’avorio, all’oro, il legno, che è comune e si presta agli effetti più brutali come alle più delicate sfumature. Si serve di pochi colori - che del resto fa sempre schietti fino alla saturazione: bianco, nero, rosso, colori dell’Africa; si serve soprattutto delle linee, delle superfici, dei volumi : delle proprietà di più materiali.

Ma, perché questa arte tende all’espressione essenziale dell’oggetto, è l’opposto del realismo sovversivo. L’artista sottomette i dettagli a una gerarchia spirituale, partendo dalla tecnica. Là dove molti non hanno voluto vedere che mancanza delle mani o incapacità di osservare il reale, c’è molta volontà almeno coscienza di ordinazione, meglio : di subordinazione. Ho già detto l’importanza accordata alla figura umana dall’artista.

Questa forza ordinaria che fa lo stile negro é il ritmo. E’ la cosa più sensibile e la meno materiale. E’ l’elemento vitale in eccellenza. Essa è la condizione prima e il segno dell’arte, come il respiro della vita; la respirazione che si precipita o rallenta, diventa regolare o spasmodica, seguendo la tensione dell’essere, il grado e la qualità dell’emozione. Tale è il ritmo primitivamente, nella sua purezza, tale lo è nei capolavori dell’arte negra, particolarmente della scultura.

E’ fatto di un tema- forma sculturale- che si oppone a un tema fratello, come l’inspirazione all’espirazione, e che si riprende. Non è la simmetria che genera la monotonia; il ritmo è vivente, è libero. Poiché ripresa non è ridetta, né ripetizione.

Il tema è ripreso in un altro posto, su un altro piano, in un'altra combinazione, nella variazione ; e dà un'altra intonazione, un altro timbro, un altro accento. E l’effetto d’insieme ne è intensificato, non senza sfumature. E’ così che il ritmo agisce su quello che c’è di meno intellettuale in noi, dispoticamente, per farci penetrare nella spiritualità dell’oggetto, e questo atteggiamento di abbandono che è nostra è stessa ritmica.

Arte classica nel senso più umano della parola, perché " romanticismo dominato ", perché l’artista, dominando la sua ricchezza emotiva, suscita e conduce la nostra emozione fino all’idea. Dai mezzi più semplici, più diretti, più definitivi. Tutto concorso alla mira. Qui, nessun aneddoto, nessuna fioritura né fiore. Niente che distrae. Rifiutando di sedurci, l’artista ci conquista. Arte classica come la definisce

Maritain ( Jacques Maritain, filosofo francese contemporaneo, ndr ) : " Una subordinazione tale della materia alla luce della forma…che nessun elemento materiale proveniente dalle cose o dal soggetto ne sia ammesso nell’opera che non sia strettamente richiesto come supporto o come veicolo di questa luce e che ad appesantire o " traviare " l’occhio, l’orecchio o lo spirito."

Léopld Sédar Senghor : Ce que l’homme noir porte, in " Liberté- I "

" L’arte porta la saggezza all’africano, ndr "

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