Léopold Sédar Senghor. Poeta e Uomo di Stato
Altre pagine di questo documento:
- Senghor ! Senghor ! Senghor !
- Senghor a Bruxelles
- Beautés noires au balafong (Bellezze nere al balafong)
- Bouly Sonko et le ballet national du Senegal
- Letteratura Africana - " L' Impegno "
- Che cosa è la Negritudine
- Storia del movimento : Harlem al quartiere Latino ( Parigi, ndr )
- Il 4 dicembre 1980 : Senghor annuncia il suo ritiro
- I funerali
- Leggere, ascoltare, vedere. “Un florilegio di libri”
- L’Atlas del Continente Africano (Prefazione)
- Léopold Sédar Senghor. Poeta e Uomo di Stato
- Codice della nazionalità. Senghor l’Africano accademico
- Inno Nazionale del Senegal - Testo scritto da Leopold Sédar Senghor
- Scrittori e Intellettuali Africani
- Leopold Sedar Senghor
- Alioune Badara Bèye
Nato a " Djilor " (Joal –Senegal, piccolo bancone portoghese sulla costa sud della penisola del Cap-Vert , chiamata petite - côte, ndr ), il 9 ottobre 1906, dopo degli studi a Dakar, parte per Parigi nel 1928. Passa con successo l’aggregazione di Lettere e diventa il primo africano titolare dell’aggregazione nell’Università Francese nel 1933. Lega amicizia con Aimé Césaire che arriva dalla Martinica e fonda insieme a lui la rivista " l’Etudiant noir " dove appare per la prima volta il termine di " Négritude " (Negritudine). Fino alla seconda guerra mondiale , è rimasto Professore nelle secondarie in varie città della Francia. E’ stato immobilizzato nel 1940 a causa di un incidente, fatto prigioniero in Germania, fa ritorno nel 1942, liberato per motivi di salute. Nel 1945, viene eletto deputato del Senegal, poi rieletto fino al 1960, diventa successivamente primo presidente della Repubblica del Senegal. Egli resterà alla direzione del paese fino al 4 Dicembre 1980, dopo essersi dimesso ed è stato sostituito dal suo primo ministro Abdou Diouf. Parallelamente alla sua carriera politica, Léopold - S. Senghor non ha mai smesso di essere un poeta. Già nel 1945, ha fatto pubblicare la sua prima raccolta di poemi " Chants d’ombre ", dove esprime " le regret du pays noir " (il rimpianto del paese nero,ndr), poi "Les Hosties noires" (Ostie nere) nel 1948, " Les Ethiopiques " 1956, " Nocturnes " 1961, " Lettres d’Hivernages " 1978.
Ex- presidente del Senegal, Accademico, cantore della negritudine, della francofonia, Léopold Sédar Senghor è deceduto a 95 anni. E’ stato sepolto il 29 dicembre 2001, a Dakar, dove si ricorda che fu uno dei rari capo di Stati del Terzo - Mondo a lasciare volontariamente il potere - Omaggio al poeta " per meticciarsi… (mescolarsi, ndr) bisogna innanzitutto ESSERE separatamente…radicarsi…poi aprirsi ai continenti."
Giudizi e critiche sulla letteratura africana
Il processo di " riafricanizzazione "( riaffermazione africana,ndr ) si è largamente esteso. Bernard Dadié può avere subito l’influenza della Negritudine, o dove ha scoperto la sua vocazione di scrittore. Janheinz Jahn, Muntu (tradotto da Brian de Martinoir).
… Siamo veramente in presenza di un universo che si possiede, che si riflette : E’ quello dell’Africano moderno, maestro di sé stesso e della sua condizione, determinandosi liberamente a partire dalle sue proprie risorse e possibilità, affrontando il mondo con lucidità. Ci sono delle scritte che reintroducono il lettore nell’Africa tradizionale o pre - coloniale, sia dalle gesta dei suoi eroi…sia dal racconto di un evento personale, sia infine dal mondo mitico dei racconti, come Bernard Dadié.
V.P. Bot, Università di Lovanium, colloquio a Dakar, 21 marzo 1963.
La poesia si presta meglio agli urli lirici di dolore e di rivolta , così Bernard Dadié. Bisogna rendere la " palma " (di onorificenza) a chi merita, a degli autori come *Bernard Dadié che, di un modo a volte mal apprezzato perché molto discreto, testimoniano del patrimonio degli antenati, e ne nutrono l’arte , la più autentica. … Il racconto è al contrario, sprovvisto di ogni impegno polemico. Non rivendica, non mira per nulla a opporre Neri e Bianchi. Descrive semplicemente la vita tradizionale, il folklore, i costumi e i valori, e da lui che troviamo le tracce più autentiche della vita negra. E’ il genere per eccellenza degli scrittori neri, come Birago Diop e Bernard Dadié. ( *Bernard Dadié, scrittore, nato in Costa d’Avorio nel 1916)
Lilian Lagneau- Kesteloot, Gli Scrittori neri di Lingua francese, 1963.
Mio fratello di Ponty, mio fratello di studi e di cuore, Bernard Dadié, fa sentire la voce negra unanime dal Sahel alla foresta. Come Senghor e me stesso con " Leuk le Lièvre " (favola africana, ndr) , come Birago Diop con Ahmadou Koumba, e molti altri, Bernard Dadié ci racconta alla maniera ancestrale i nostri personaggi familiari del folklore.
Abdoulaye Sadji.
Nostro continente deve a Bernard Dadié i suoi più bei accenti d’amore e di fedeltà. Il giro dei giorni, tanto che le leggende, è un inno alla grandezza dell’Africa, un atto di fede, il credo che ogni Africano ripeterà.
David Diop.
L’eccellente narratore delle Leggende Africane ci dà, con " Climbié ", il suo primo romanzo.
Testimonianze
" Sono stato portato senza rimettere in causa alcune delle mie valutazioni soprattutto a seguito delle funzioni che sto assumendo, di essere più umile, di comprendere che l’uomo nella sua grandezza, ha delle debolezze e delle miserie. Senghor in quello che ho ritenuto meglio perché ho preso anche il tempo per leggerlo, cercare di capirlo. Ho visto nella sua andatura un umanesimo, un uomo del dialogo, di tolleranza anche se bisogna dirlo è fondamentalmente anche un uomo di Stato, molto preoccupato dello Stato e un senso molto elevato dello Stato di diritto, molto rigoroso nella messa in opera dello Stato di diritto, della legge.
Lì si rimproverava di professare il "metissaggio", la civiltà dell’universale. Lo interpreto come una volontà di gestire le differenze e il pluralismo. E, Senghor ha almeno saputo partire e partire bene senza guardare dietro di lui perché per lui è il progredire normale di un uomo: l’uomo politico è rimasto un uomo. Ho avuto la possibilità di incontrarlo quando non era più in funzione, e di aver condiviso alcuni momenti con lui nel corso di un certo numero di incontri. Ho visto un uomo molto attaccante, pieno di umiltà, che non cercava la luce. E che scambia con noi come in un anfiteatro allora che niente lo obbligava per quello che è stato, per il cantore della negritudine, per quello che è stato alla base della francofonia verso la quale è stato molto critico soprattutto quando quella era semplicemente la lingua francese, la cultura francese ma che fortunatamente oggi è molto evoluta per prendere tutte le nostre culture in carico. Essa é diventata la espressione di grandi parole d’ordine di solidarietà, di complementarietà e di uguaglianza. D’altra parte quello ha anche germinato nella mente di Senghor dunque con il tempo e non solo l’età, il tempo che ci siamo dati di osservare, di essere critici, ma di cercare anche di comprendere."
Alpha Omar Konaré, Presidente del Mali.
" Non ho mai incontrato Senghor, ma il suo nome mi è familiare molto prima dell’indipendenza del Senegal. La sua fama superava già le frontiere dell’Africa. Ero allora studente e si parlava del suo concetto di "negritudine". Ma quando sono entrato in politica, Senghor aveva già lasciato la scena e si era ritirato lontano dal continente. Non ho dunque avuto la chance di incontrarlo, ma avevo della stima per lui perché aveva veramente posato i picchetti e, dalla filosofia e la cultura, assicurato all’Africa un posto nella scacchiera globale.
Era un grande uomo. Alcuni l’hanno accusato di essere troppo vicino alle vecchie potenze coloniali. E’ un po’ ridotta come critica: Senghor era necessariamente un uomo di transizione. E non saprei in ogni caso tenergli rigore. E’ un uomo nero che ha condotto il suo paese verso l’indipendenza, con intelligenza, guadagnando a fiducia dei colonizzatori. Non si può minimizzare questa performanza. Era un intellettuale distinto e raffinato e non scopro nessuna traccia di servilità nel suo approccio. Guardate: oggi, siamo tutti riuniti in un omaggio deferente. E’ un segno che non inganna. Senghor era un Africano che ha portato in alto la dignità dell’uomo nero".
John Kuffor, Presidente del Ghana
Ben più evidente che nel secolo scorso appariva la marcia irresistibile dell’umanità verso la sua "totalizzazione" e la sua "socializzazione" al tempo stesso, per adoperare i termini stessi di Pierre Teilhard de Chardin. Questa evidenza, risulta dal processo che si svolge sotto i nostri occhi, favorito dal progresso della scienza, straordinariamente dallo sviluppo dei mezzi di comunicazione.
Non sono solamente gli uomini e i beni materiali che attraversano le frontiere, ma ancora le idee, le tecniche, i valori; dico le civiltà. [...]
La nostra convinzione, appoggiata sui fatti, é che ciascuno possiede la sua parte di umanità e, partendo, dalla verità, che la civiltà di domani, per essere quella della verità o, più modestamente, per aiutare al progresso dell’uomo, dovrà essere la simbiosi vivente di tutti i popoli di tutti i continenti, di tutte le razze, perfino di tutte le ideologie. Ecco la civiltà dell’universale, che non può sorgere che all’ "appuntamento del dare e del ricevere ", che nascerà dialetticamente dal confronto di tutte le civilizzazioni particolari.
Lépold Sédar Senghor
Messaggio alla nazione, 3 aprile 1961
Neve su Parigi
” Chants d’ombre “, pubblicato nel 1945, é la prima raccolta poetica di L. S. Senghor. Varie ” pièces ” (pezzi) riunite sono state tuttavia pubblicate sulla guerra.E’ dire che questa raccolta permette non solo, di ritrovare i temi della negritudine nella loro prima manifestazione letteraria, ma anche di rendersi conto che la coscienza politica, anche se non é dominante, non é mai stata totalmente assente delle prime opere, non più che lo é stata dal ” Cahier d’un retour au pays natal ” , apparso nel 1939.
” Neve su Parigi ” permette di accogliere il senso della composizione di Senghor e l’ammirevole equilibrio degli elementi della sua personalità complessa. Al di là di tutto, si può misurare la coscienza che il poeta ha della situazione coloniale e prendere nota della sua protesta contro l’approccio utilitario dell’Africa dall’Europa. Il cristiano l’ha conquistato. Il male che scopre dappertutto non gli devierà la via della fraternità (fratellanza).
Signore, avete visitato Parigi da questo giorno della vostra nascita
Perché diventava meschino e cattivo
L’avete purificato dal freddo incorruttibile
Dalla morte bianca.
Questa mattina, fino ai camini di fabbrica che cantano all’unisono
Inalberando dei lenzuoli bianchi
” Pace agli uomini di buona volontà ! “
Signore, avete proposto la neve della vostra Pace al mondo diviso all’
Europa divisa Alla Spagna squarciata
E il ribelle ebreo e cattolico ha sparato i suoi mille cannoni contro le montagne della vostra Pace.
Signore, ho accettato il vostro freddo bianco che brucia più che il sale.
Ecco che il mio cuore che scioglie come neve sotto il sole.
Dimentico
Le mani bianche che spararono i colpi di fucile che crollarono gli imperi
Le mani che flagellarono gli schiavi, che vi flagellarono
Le mani bianche polverose che vi schiaffeggiarono, le mani dipinte
Polverose che mi hanno schiaffeggiato
Le mani sicure che mi hanno consegnato alla solitudine all’odio
Le mani bianche che abbatterono la foresta di borassi che dominava l’Africa, al centro dell’Africa
Dritti e duri, i “Saras” belli come i primi uomini che uscirono dalle vostri mani brune.
Abbatterono la foresta nera per farne delle traverse di ferrovia
Abbatterono le foreste d’Africa per salvare la civilizzazione, perché mancava della materia prima umana.
Signore, non farò uscire la mia riserva di odio, lo sò, per i
Diplomatici che mostrano i loro canini lunghi
E che domani scambiarano la carne nera.
Mio cuore, Signore, si é sciolta come neve sui tetti di Parigi
Al sole della vostra dolcezza.
E’ dolce ai miei nemici, a miei fratelli alle mani bianche senza neve
A causa anche delle mani di rugiada, la sera, lungo le mie guancie brucianti.
L. S. Senghor
“Chants d’ombre”
Ed. du Seuil.
N.E.A, 1974
Il mio calvario
Lépold Sédar Senghor é nato a Joal nel 1906. Suo padre era un commerciante felice. Ha fatto i suoi studi primari alla missione cattolica di Joal, le secondarie al Liceo Van Vollenhoven di Dakar. Entra in “Khâgne” al Liceo Louis-le-Grand a Parigi. Sarà Aggregato di lettere nel 1935. Partecipa attivamente alla pubblicazione del giornale ” l’Etudiant noir ” .
Occupa vari posti da professore in Francia. E’ immobilizzato nel 1939 a causa di un incidente e fatto prigioniero nel 1940. Alla fine della seconda guerra mondiale, é professore all’ ” Ecole de la France d’outre-mer “. Inizia allora una doppia carriera di uomo politico e di scrittore.
Nel 1960, viene eletto presidente della Repubblica del Senegal.
Opere :
Chants d’ombre, poemi, Ediz. du Seuil, 1945.
Hosties noires, poemi, Ediz. du Seuil, 1948.
Chants pour Naett, Seghers, 1949.
Ethiopiques, Poemi, Ediz. du Seuil, 1956.
Con la colloborazione di Abdoulaye Sadji la bella storia di ” Leuk-le-lièvre “, contes, Hachette, 1953.
Lettres d’hivernage, poemi pubblicati in Poèmes, Le Seuil, 1974.
Paroles, Les Nouvelles Editions Africaines, 1975.
Adoulaye Sadji nacque a Rufisque (Senegal) nel 1910. Figlio di un ” marabout “, (guida spirituale, ndr) frequenta la scuola coranica e gli studi superiori alla scuola “William –Ponty”. Fu istitutore a 19 anni, poi ispettore alle primarie.
E’ morto nel 1961.
Opere :
In colloaborazione con L. S. Senghor, la bella storia di ” Leuk-le-lièvre “, Hachette, 1953.
Maimouna, romanzo, Présence africaine, 1965.
Nini, mulatresse du Sénégal, romanzo, Présence africaine, 1965.
Tounka, nouvelle, Présence africaine, 1965.
Ousmane Socé Diop nacque nel 1911 a Rufisque (Senegal). Fece i suoi studi secondari al Liceo di Dakar per poi frequentare la scuola William Ponty. Entrò alla scuola veterinaria di Alfort nel 1931. Fece parte dell’equipe di ” l’Etudiant noir “.
Esercitò dopo il suo mestiere a Kayes, Sikasso, Mopti. Si lanciò nella politica fin dal 1948.
Dopo l’indipendenza fu Ambasciatore del Senegal all’ONU, poi a Washington.
Si é congedato nel 1968 e si è installato a Rufisque. E’ morto il 26 ottobre 1973.
Opere :
Karim, romanzo, Nouvelles éditions latines, 1948.
Mirages de Paris, romanzo, seguito dei “Rythmes du khalam”, Nouvelles éditions latines, 1956.
Contes et légendes d’Afrique noire, Nouvelles éditions latines, 1962.
La letteratura negra
Nel momento in cui l’Europa scopre il jazz e l’arte negra, dei poeti riuniti a Parigi intorno a Léopold Sédar Senghor, Aimè Césaire e Léon–Gontran Damas si fanno ” voleurs de langue ” (ladri di lingua, ndr) e inventano la Negritudine. Questa presa di coscienza della specificità dei valori del mondo nero, presto rilegato dai romanzieri e i drammaturghi, va a tradursi in una fioritura di opere letterarie che intendono allo stesso tempo riabilitare l’immagine di una Africa troppo spesso sconosciuta e denunciare un sistema coloniale sempre più contestato.
Ritornerà agli scrittori della seconda, poi della terza generazione questa espansione nelle letterature a testimoniare delle disillusioni consecutive alle indipendenze degli anni sessanta, nel momento stesso che si impegnano in una avventura delle scritture marcate dal sigillo della dissidenza.
Rifiutando la falsa alternativa tra fedeltà incondizionata ai modelli occidentali e il ” feticismo ” della tradizione, gli scrittori del modo nero - raggiunti da poco da ” scrittrici ” – sono risoluti ad assumere la loro condizione d’ora in avanti con la più grande reticenza di fronte a quelli che lì sommavano, poc’anzi di essere i partorienti della Storia.
A una scrittura politica succede dunque oggi una politica della scrittura, favorendo una vera esplosione di narrazioni o drammaturgie barocche e polifoniche nei quali fantasia, umorismo e derisione sembrano avere per vocazione di esorcizzare i demoni di un continente che non ha finito di sorprenderci.
Jacques Chevrier, ex allievo dell’ENS di Saint-Cloud, aggregato e dottore in lettere, é titolare della ” Chaire ” (Cattedra) di studi francofoni all’Università di Parigi-IV e dirige ugualmente il Centro internazionale di studi francofoni alla Sorbona. Autore di numerose opere, articoli e studi, partecipa alla redazione di varie riviste internazionali. E’ responsabile del ” jury du Grand Prix littéraire d’Afrique noire “. Armand Colin. (Collezione U. Lettere )
Il discorso del ” metissaggio “
C’é un mito culturale contemporaneo che tende a fare della letteratura un fenomeno quantificabile che obbedirebbe alle leggi della cronologia. Sotto tratti esterni, questa mitologia che autorizza tutte le opposizioni possibili tra quello che ritarda e quello che va avanti, tra l’arcaico e il moderno, é veramente devastatrice. Tende a fare dell’attualità immediata dell’opera, della sua conformità alla moda stagionale, un argomento probante. La moda é un ” tutto normativo “, ” un valore arbitrario “, ma questo arbitrario ” si affissa come naturale ” : ” é mascherare il segno sotto le apparenze di una natura. ” Questa metafisica della creazione letteraria conduce a subordinare la creazione alle attese della consumazione culturale mass-mediatica. Il culto della moda é un culto dell’effimero. Nel senso etimologico della parola indica quello che é per definizione accidentale, passeggero. Ogni moda rileva ” una dialettica del conformismo e del cambiamento che é spiegabile anche sociologicamente “. Come ogni ” sistema della moda ” , il discorso del “metissaggio” (mescolanza, ndr) é friabile. E’ la delicatezza che fa il suo fascino.
I suoi segni di riconoscimento sono scelti.
” Siamo tutti meticci ” : c’è in questa professione di fede, falsamente candida, l’alfa e l’omega del cosmopolitismo postmoderno. ” Siamo tutti meticci.” Tale é in effetti il credo della nuova internazionale degli ideologi della cultura tribale planetaria. Preso da una misteriosa infatuazione (entusiasmo), alcuni tra le migliori menti si accordano per usarne come della pietra filosofale che la avrebbero infine trovata dopo averla per molto cercata. ” Europei, siamo meticci “, affermava, non da molto, il Presidente, allora in esercizio della Commissione di Bruxelles.
Qualche settimane dopo, sulla stessa antenna, un anniversario stimato, la sua opera, di confessare, l’aspetto goloso: “sono un sociologo meticcio”, volendo dire di là che la sua opera, di natura frammentaria, eccedendo i limiti del suo campo disciplinare di origine, la sociologia, accoglie nel suo seno delle problematiche e delle procedure in prestito alla teoria della letteratura e alla estetica comparata .
O ancora, una lettrice finlandese di “Texaco” di persuadersi che i Lapponi, avendo perso l’uso della loro lingua naturale, sono da alloggiare nella stessa insegna che i “creolofoni” (parlante creolo, ndr) della Martinica, haitiani, guyanesi o guadalupeni (dalla Guadalupa) . E, per chiudere l’emissione (radiofonica), l’animatore opinionista capo, avendo infine compreso che l’inglese parlato in Tailandia é dopo tutto un ” patois creolo “.
Le metafore tessili, culinarie o meteorologiche del vortice e dell’uragano, sono , all’uguale di quelle del big - bang e del caos primordiale, al gusto del giorno. E’ del tutto naturale che queste metafore volteggianti della mescolanza, delle differenzazioni, del “mixité” (di essere misto), esercitano gli ” hérauts ” dei Caraibi o latino-americani del metissaggio un irresistibile tratto , quelli essendo nativi di una zona che si segnala ogni anno dal mese di agosto al mese di ottobre, di improvvisi disordini meteorologici. Ma una volta dissipata l’illusione lirica della riconciliazione dei contrari e della mescolanza universale, una volta ricaduta la febbre degli incontri misericordiosi, cosa è divenuto di questo concetto del metissaggio? Cosa ne rimane? Una vaga nozione . Si sa, il tema della fine della storia é a partire degli anni 1980 di una attualità bruciante.
E’ a favore di questo dibattito che é sorto nel seno dell’intellighenzia europea, in Francia e in Inghilterra, più particolarmente, la problematica dell’ ” ibridizzazione ” - é il termine il quale ha usato Salman Rushdie- vuol dire del ” métissage “.
Questa problematica che era rimasta fin da allora esteriore (fuori) dalla sfera filosofica e letteraria si é visto elevare in un colpo alla dignità di un dibattito tra gente seria.
Nel 1983 era stata creata, all’iniziativa d’Elie Wiesel, una accademia universale che riunisce dei sapienti, degli artisti e degli scrittori del mondo intero, tra cui Umberto Eco, Octavio Paz, Paul Ricoeur, Mario Vargas Llosa, questa accademia si dota di una carta le cui prime linee esprimono una volontà di unire per pensare insieme il XXI° secolo e in particolare il “metissaggio” delle civilizzazioni (civiltà) che sono già creando le spinte migratorie, volontarie o forzate, in tutto il pianeta “.
E’ allora che, seguendo l’esempio degli scrittori ” métis ” anglofoni – V. S. Naipaul, Salman Rushdie, Michael Ondaatje e Derek Walcott-, Edouard Glissant diventa una delle figure di prua di una letteratura universale capace di assumere dei supplementi periferici immaginari: “elogio della periferia al contatto con tutte le periferie del mondo, elogio della diaspora come viaggio senza ritorno e entrata nella differenza, apertura radicale sulla legge del mondo che é questa ” creolità ” costitutiva di tutte le lingue e di tutte le culture.” E nei cenacoli si é salutato il felice avvenimento di una Babele delle cultures, di una letteratura sorseggiante piena la gola di materie in transito, di una scrittura ” haturère ” a lungo corso: ” tutte le lingue sono ” crèoles “. L’italiano é ” créole “.
Ognuno viene da lontano, e i nostri lontani sono tutti parenti, in tutto il mondo “, dice Edouard Glissant, con qualche apparenza di ragione. Ma, per averne il cuore netto, svoltiamo la proposizione: se, per ipotesi, “tutte le lingue sono ” créoles “, perché, illogismo per sillogismo, di non azzardare la deduzione secondo la quale ” il creolo é dell’italiano ” ? Il clima intellettuale essendo oggi quello di una ” fin de partie “, l’idealismo fa un ritorno in forza, ridando vigore a vecchie illusioni che avremo potuto credere defunte.
Nel 1956, nel primo Congresso degli Scrittori neri che si é tenuto a Parigi, Aimé Césaire si esprimeva già in questi termini: ” E’ perché una cultura non é una semplice ” juxtaposition ” (giustapposizione) di tratti culturali che non saprà esserci della cultura meticcia. Non voglio dire che della gente che sono biologicamente dei meticci non potranno fondare una civiltà. Voglio dire che la civiltà che fonderanno non sarà una civiltà se non sarà meticcia.
E per questo anche che una delle caratteristiche della cultura, é lo stile, vuol dire questo marchio proprio ad un popolo e ad una epoca che ritroviamo in tutti i domini dove si manifesta l’attività di questo popolo ad una epoca determinata. ” I mezzi più sofisticati sono messi in opera in vista di persuadere l’opinione che riguarda, in questa vigilia del III° millennio, dell’ultimo “round” di un combattimento in tre riprese, dell’ultimo episodio di una lotta di cinquecento anni, del Bene contro il Male, dell’amore contro l’odio, dell’integrazione contro la segregazione , dell’inclusione contro l’esclusione.
Così trionfa, a nome dell’ideale, una antifilosofia dell’identità. ” Métissage o barbarie ! ” , tali sono i due termini dell’alternativa. Il tono perentorio su il quale questa falsa evidenza é proclamata non sorprende non molto non essendo necessariamente l’indice del suo valore intrinseco . Non é maggiormente garante dell’autenticità del suo statuto concettuale.
La parola di “métissage” é oggi il ” sésame ” (sesamo) del saluto della specie umana tutta intera. Eppure niente é più strano alla realtà storica delle società, antiche o moderne, che l’idea di un necessario “brassage” delle popolazioni. Quando l’idea appare nel XVIII° secolo di un utile e augurabile mescolanza per assimilazione e per integrazione delle comunità fin là private dei diritti civici e mantenute ai margini della società, é nell’ambito dell’utopia filosofico e politico delle ” Lumières ” (illuminazioni, ndr). ” Non c’è della fondazione razionale della ragione nè della fondazione razionale della libertà. Nei due casi c’è di certo una giustificazione ragionevole - ma viene in avvallo. “
Le civiltà antiche brillarono di una luminosità durevole , furono ospitali. Composite, erano tuttavia rette dalle diverse norme che gerarchizzavano gli statuti conferiti alle diverse comunità che coesistevano in loro seno. Le caste e le classi, le razze e le lingue erano affiancate e mai mischiate. Il Corano invita i popoli e le tribù a conoscersi mutualmente ma la tradizione islamica ha riprovato la mescolanza delle stirpi (discendenze). L’esempio non meno probante della legge ebraica potrebbe essere citata: la storia “postexilique” come la storia moderna del popolo ebraico é da certi aspetti quella di una identità “nolens volens” chiusa su se stessa.
Le grandi epoche del ” metissaggio ” sono state le epoche favorevoli alla realizzazione di un progetto imperiale. E’ Alexandre il Grande che, nel suo discorso di ” OPE’ ” (offerta pubblica di scambio, ndr) ha esaltato l’avvenire promesso al popolo nuovo che risulterebbe dell’apporto di tutte le comunità .
Si consacra alla creazione di un “Oikou mèné” unificato linguisticamente e politicamente poiché sottomesso a un solo e stesso scettro. E’ sull’ordine del loro capo supremo elevato al rango di una divinità che i soldati macedoni sposarono giovani persiane. Così nacquero gli Imperi ellenistici e fecero la loro apparizione, a Alexandria, in Siria, il tipo ideologico del ” kosmou - polite ” (cosmopolita), ” citoyen du monde ” (cittadino del mondo).
E’ ancora nell’ambito degli imperi coloniali del Nuovo Mondo che gli Europei hanno elaborato lo schema concettuale del ” metissaggio “. Oggi, il discorso del metissaggio coincide , da una parte, in Europa, con le ” soft ideologie ” del cambiamento sociale, d’altra parte, nel Terzo Mondo, con la fine dei miti anti-imperialisti della conquista spontanea dell’indipendenza nazionale e del socialismo.
Questo discorso tiene la sua legittimità, fin d’allora, dal postulato secondo il quale le barriere naturali tra le culture e le razze sono sciolte come neve al sole. Nel passato, ci dicono, furono, é ben vero, invalicabili, ma questo passato si perde nei lontani di un “tempo”. Di seguito gli Antillesi non avranno più che un legame disteso di parentela con l’Africa: dalla cancellatura, in loro seno, delle differenze qualitative, esse prefigurano un divenire comune, dalle rive dell’Atlantico a quelle del Pacifico, alle società post-industriali.
Una era nuova , avrebbe iniziato senza che i deboli di spirito se ne fossero accorti. L’universale hegeliano avendo terminato la sua lunga marcia, il “tutto” si é fatto “Mondo”. La fine della storia da molto tempo profetizzata é infine diventata una realtà concreta. Si profila all’orizzonte come per dare il suo senso apocalittico alla parola evangelica: ” Consumatum est “.
Il motto del metissaggio riassume una concezione e una visione del mondo nello stesso tempo , una morale e uno stile il cui orizzonte di attesa é quello del libero - scambio economico planetario.
Il dibattito relativo alla mescolanza delle razze e delle culture raggiunge dall’obliquo tematico del cosmopolitismo, a quello della circolazione mondiale delle persone e dei beni. C’è relazione di causa - effetto. L’immaginario sociale europeo si é costituito intorno a due significati: il progetto ” antropologico ” di una emancipazione dell’essere umano, da una parte; il progetto “economico” di una padronanza totale della natura e di una espansione illimitata delle forze produttive, dall’altra parte.
Però questi due significati sono contraddittori perfino opposti. La crisi attuale risulta da una valutazione che hanno determinato congiuntamente, nel corso degli ultimi cinquanta anni, dei fattori congiunturali e di altri fattori molto più pesanti. “Società dello spettacolo”, la società contemporanea che ha la facoltà di annientare ogni eterogeneità, quello che é innanzitutto rigettato alla periferia, marginalizzato, può darsi, il caso occorrente, trasposto, riconvertito.
Prima di tutto censurata o repressa, la sovversione si cambia in una attraente curiosità e viene a completare l’equilibrio di un sistema che non provoca dunque degli argomenti autonomi.
L’epoca consacra il trionfo di un conformismo generalizzato, nell’ordine delle condotte come quello delle idee. Il rischio é grande di perdere il senso e il gusto della competizione delle identità ” radicalmente ” differenziate.\ Roger Toumson
* la parola "metis" ( meticcio) proveniente dal basso-latino "misticium" variante di "mixticium", derivato da " mistus " o " mixtus ", participio passato di " miscere " (" mischiare ") (mescolare), il " mestiz " appare in Francia nel XIII° secolo.
" Métissage-cultuel- universel " -(francoscope).
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- Inno Nazionale del Senegal - Testo scritto da Leopold Sédar Senghor
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