04 GIU 2002

Vigilanza Rai: Discussione su garanzie pluralismo nel servizio pubblico radiotelevisivo

[NON DEFINITO] | - 00:00 Durata: 34 min 21 sec
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Discussione sulle garanzie del pluralismo nel servizio pubblico radiotelevisivo, ed esame di eventuali risoluzioni.

Registrazione audio di "Vigilanza Rai: Discussione su garanzie pluralismo nel servizio pubblico radiotelevisivo", registrato martedì 4 giugno 2002 alle 00:00.

La registrazione audio ha una durata di 34 minuti.
  • Presidente

    Il Presidente, senatore Petruccioli, comunica che, a seguito della sollecitazione di alcuni colleghi, in data 31 maggio ha inviato al Presidente della RAI una richiesta di spiegazioni sui motivi per i quali la RAI non ha ritenuto di trasmettere il film «Bella ciao» prodotto dalla società concessionaria; nella lettera veniva altresì sollecitata la programmazione della trasmissione per il prossimo autunno.<br>Il professor Baldassarre ha risposto in data di oggi comunicando che le problematiche connesse al film «Bella ciao» saranno discusse nell'odierno Consiglio di amministrazione. <br>Indice degli interventi<br>La seduta inizia alle 14h15<br>Presidenza del Presidente <strong>Claudio Petruccioli</strong><p>
    0:00 Durata: 1 min 51 sec
  • Antonio Falomi (DS-U)

    Il senatore Falomi sollecita l'attenzione dei colleghi sull'atteggiamento tenuto dalla RAI nei confronti delle richieste di materiale informativo provenienti da questa Commissione, atteggiamento improntato ad un sistematico diniego, esplicito o tacito, di fornire il materiale richiesto, che finisce per assumere un carattere ormai ostruzionistico. <br>In particolare il senatore Falomi rileva che negli ultimi mesi la RAI ha cessato di trasmettere le elaborazioni periodiche dei dati forniti dall'Osservatorio di Pavia che, come esplicitamente richiamato dalla delibera sul pluralismo del febbraio 1997, appaiono uno strumento indispensabile per valutare realmente il pluralismo dell'informazione televisiva, che non può ovviamente essere apprezzato con riferimento a brevi intervalli di tempo; per di più la società concessionaria, invitata formalmente dal Presidente a trasmettere i dati settimanali non solo su supporto cartaceo ma anche per via elettronica - ciò che consentirebbe almeno alla Commissione e ai singoli componenti di realizzare quella elaborazione periodica di dati che la RAI non sta più trasmettendo - ha opposto un diniego silenzioso ed immotivato, un atteggiamento che rasenta il disprezzo per quest'organo parlamentare.<br>Il senatore Falomi invita quindi la Presidenza ad approfondire la vicenda della cancellazione della sigla delle trasmissioni dei mondiali di calcio contenente l'arrangiamento e l'interpretazione dell'inno nazionale realizzati dalla cantautrice Elisa, cancellazione avvenuta ieri, subito dopo che il ministro Gasparri aveva dichiarato di non condividere tale arrangiamento. La RAI, evidentemente desiderosa di prevenire accuse di subalternità, ha emesso un comunicato nel quale si afferma che tale cancellazione è stata determinata dal fatto che quella sigla, commissionata dalla Federazione italiana gioco calcio, sponsor delle trasmissioni, non aveva ricevuto il preventivo benestare della SIPRA: un'affermazione che lascia quanto meno perplessi. <br>
    0:01 Durata: 4 min 40 sec
  • Gino Moncada (UDC:CCD-CDU-DE)

    Il senatore Moncada Lo Giudice nel condividere totalmente la richiesta formulata dal senatore Falomi di un atteggiamento più collaborativo della RAI nei confronti delle richieste della Commissione intende però dissociarsi dalle espressioni utilizzate dal senatore Falomi stesso che ha parlato di atteggiamento «ostruzionistico» e di disprezzo per la Commissione. <br>
    0:06 Durata: 37 sec
  • Presidente

    Il Presidente Petruccioli ritiene che le questioni sollevate dal senatore Falomi e dal senatore Moncada Lo Giudice, potranno essere utilmente discusse nell'Ufficio di Presidenza che si terrà a conclusione della discussione generale introduttiva sul pluralismo prevista dall'ordine del giorno delle sedute di questa settimana.<br>Fin da adesso comunque egli fa presente di aver assunto opportune iniziative per richiamare la società concessionaria ad un atteggiamento più collaborativo. Egli osserva comunque che, per quanto riguarda le rilevazioni sui programmi radiotelevisivi sarebbe opportuno che la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi si dotasse di una propria fonte informativa, senza una mediazione della RAI. <p>Riferisce alla Commissione il presidente Petruccioli. <br>Il pluralismo è il principio più caratterizzante e l'obiettivo più impegnativo per definire un buon sistema televisivo. È un principio che non nasce con la televisione. Esso segna un'importante tappa nell'evoluzione delle esperienze e delle culture che hanno accompagnato l'affermazione della libertà e della democrazia. A determinarlo hanno concorso orientamenti diversi, in diversi campi del sapere. In generale, si può affermare che il pluralismo copre tutto il grande spazio che si estende fra due visioni monistiche: da un lato quella dello Stato, dall'altra quella dell'individuo. Esso si riferisce alla gran quantità di relazioni che si stabiliscono fra le persone, sulla base di affinità e interessi i più vari; assume dunque connotati prevalentemente sociali e culturali pur investendo direttamente le forme della democrazia, l'idea che se ne ha, i modi in cui la si pratica. Il pluralismo è l'elemento dinamico (e in quanto tale sempre aperto a mutamenti sia verso il miglioramento, sia verso il degrado) della libertà moderna, in tutte le sue manifestazioni: quelle sociali, quelle culturali e quelle politiche.<br>Come tutte le idee e i valori fondamentali, anche il pluralismo è tanto apprezzato in sé, quanto difficile da far vivere nella pratica, con equilibrio e buon senso. Nicola Matteucci, a conclusione della voce «Pluralismo» nella Enciclopedia delle scienze sociali indica quella che è stata e resterà sempre la sfida più complessa per il pluralismo. «Il quale – dice Matteucci – implica sempre un tasso - più o meno alto - di conflittualità, non ha come fine la pace sociale. Nel passato, con la libertà religiosa e poi con la libertà politica - in Europa e in America - è stato trovato un equilibrio....La rivoluzione democratica porterà a compimento questa profonda trasformazione culturale, che ha inciso sulla mentalità collettiva...Il solo pluralismo possibile è quello »ragionevole« di Rawls, perché dove c'è frattura sui valori ultimi, appare soltanto un'irrazionalità aggressiva. Il pluralismo può darsi solo all'interno di una cultura condivisa, che abbia alcuni valori comuni, soprattutto quello della tolleranza».<br>La televisione e la politica, la televisione e la cultura, la televisione e la società non si esauriscono certo l'una nell'altra, come alcuni mostrano di credere; ma hanno proprio nel pluralismo il cruciale punto di contatto e di scambio. Un punto sul quale si sviluppa una forte e significativa tensione: gli studiosi della comunicazione, osservano che «lo sviluppo della politica non è stato all'altezza dello sviluppo dei territori mediali e cioè della vita quotidiana della gente» (Abruzzese); coloro che pensano la libertà anche sotto l'aspetto della responsabilità e della educazione (Popper) e della democrazia, della politica (Dahrendorf) mettono invece l'accento sulle «insidie» della tv. È evidente che una riflessione seria non può lasciare scoperto nessuno dei due versanti e deve cercare risposte soddisfacenti sull'uno e sull'altro.<br>È con questa consapevolezza che si deve discutere del pluralismo nella tv; senza dimenticare che le forme (quando necessarie, le regole) con le quali il pluralismo si esprime e vive nella tv sono diverse da quelle specifiche del pluralismo, sociale, culturale o politico. Perché diversi sono i linguaggi e i livelli di responsabilità.<br>È evidente che il tema del «pluralismo» non può essere astratto dal contesto generale del sistema televisivo. Un conto è - ad esempio - considerare il pluralismo in un quadro di monopolio, o - come è quello attuale in Italia - di duopolio. Altro conto farlo in un panorama pienamente liberalizzato, con una pluralità di soggetti d'impresa e con condizioni di accesso non proibitive per nuovi soggetti.<br>Importante è la distinzione fra il pluralismo cosiddetto «esterno» e il pluralismo «interno». Il primo riguarda il sistema televisivo nel suo insieme; viene definito «esterno» in quanto la pluralità delle voci è affidata alla molteplicità dei soggetti. In sostanza ciascun soggetto vive nel pluralismo in virtù della esistenza di altri, diversi da lui. Il «pluralismo interno», invece, si intende riguardi solo il servizio pubblico, in quanto obbligato a garantire l'espressione dell'insieme delle realtà, delle posizioni, delle voci esistenti nel Paese. Quando i soggetti sono più di due, anche se uno titolare del servizio pubblico e gli altri no, questa distinzione non richiede ulteriori precisazioni.<br>Ma oggi in Italia i soggetti sono due; e uno dei due soggetti è addetto al servizio pubblico. È, dunque, fondamento del «pluralismo esterno» per l'altro soggetto e, contemporaneamente, obbligato al «pluralismo interno». In queste condizioni, sarebbe ragionevole estendere il «pluralismo interno» ad ambedue i soggetti, almeno per quanto attiene a doveri fondamentali. Altrimenti abbiamo a che fare non solo con una palese asimmetria, ma anche con un sistema che fonda in modo non convincente il pluralismo in generale, tanto «esterno» quanto «interno». A questa sconnessione può essere ricondotta la recente querelle sul «tasso di libertà» garantito da RAI e da Mediaset. Non sorprende che il «duopolio ìmpari» possa avvantaggiare il concorrente del servizio pubblico non solo sotto l'aspetto delle risorse (la pubblicità), ma anche sotto quello di una maggiore libertà nella programmazione. Il presidente di Mediaset Confalonieri dimostra di essere consapevole della esistenza di questo «vizio di sistema», quando avanza l'ipotesi di estendere anche alla sua azienda forme di «vigilanza» oggi riservate al servizio pubblico.<br>Su queste questioni interviene una recente, importante sentenza della Corte Costituzionale, la 155 del 24 aprile 2002. Sviluppando precedenti pronunce (in particolare la 112 del 1993) la Corte riconduce il dovere di «pluralismo» al «regime di concessione» in quanto tale, coinvolgendo così paritariamente tutti i soggetti, indipendentemente dal fatto che siano o no titolari del servizio pubblico; e afferma a chiare lettere che per nessuno il dovere di «pluralismo» può intendersi assorbito e soddisfatto interamente dal cosiddetto «pluralismo esterno».<br>Una volta di più, emerge la necessità di una legge che ridefinisca nella sua interezza il sistema televisivo italiano; e ricollochi all'interno di una cornice nuova e chiara la funzione di «servizio pubblico». La stessa congiuntura politica attuale (inedita se la consideriamo con l'occhio rivolto alla «questione tv») ha il merito di mettere allo scoperto l'insostenibilità del nostro sistema televisivo. Un sistema televisivo deve apparire a tutti accettabile e convincente, chiunque prevalga nella competizione politica. Se non è così, va assolutamente cambiato. Altrimenti, è inevitabile che si diffonda fra i cittadini un'insofferenza che avrebbe conseguenze dannose per la televisione: prima di tutto quella di servizio pubblico, ma non solo quella.<br>È indispensabile un approfondimento e un allargamento del dibattito pubblico. È avvenuto così nelle precedenti occasioni nelle quali si sono fatte «leggi sistema»; una delle cause dei fallimenti recenti è stata proprio la debolezza, l'assenza di questo dibattito. A tal fine, questa Commissione ha un compito essenziale.<br>Il dibattito coinvolgerà inevitabilmente anche il ruolo della Commissione. Essa stessa è parte di quel «sistema» che si deve riformare e, ad esempio, una vigilanza estesa alla generalità dei soggetti e non riservata al servizio pubblico, è più coerente con le funzioni di un'autorità indipendente che con quelle di una commissione parlamentare.<br>Dovere attuale della Commissione è, comunque, intervenire e agire anche se gli strumenti formali di cui dispone non sono sempre funzionali alle questioni con le quali deve misurarsi. Nel 1997 questa Commissione ha approvato un atto di indirizzo sul pluralismo; lo ha fatto alla unanimità, a dimostrazione che il principio del pluralismo, nella più estesa interpretazione, è considerato essenziale da tutte le forze politiche presenti nel Paese e nelle istituzioni. Non sembra che il documento del '97 possa avere aggiornamenti o correzioni; come testo di carattere generale è del tutto esauriente e mantiene intatto valore.<br>Tuttavia, si propongono continuamente questioni controverse riconducibili al tema del pluralismo. Se ne hanno prove nelle segnalazioni e nelle discussioni che - continuamente - trovano spazio nei lavori della Commissione; nelle lettere che vengono inviate da singoli cittadini o da associazioni; nelle manifestazioni della pubblica opinione, a cominciare da quelle di cui si rende interprete la stampa.<br>Nella gran parte di questi casi, il richiamo ai principi codificati e specificati nell'atto del '97 non è di aiuto; cosicché, il più delle volte, tutto si esaurisce in una fiammata polemica durante la quale ciascuno esprime le proprie legittime valutazioni, ma senza che si riesca a trovare un criterio di giudizio condiviso. Ne deriva uno sgradevole senso di impotenza e di irresolutezza: i cittadini che guardano la televisione e coloro che la fanno si convincono sempre di più che sia inutile o impossibile attendersi il rispetto di criteri quali l'obiettività, l'imparzialità, il rispetto di tutti. Una convinzione del genere è molto dannosa per la comunicazione in generale e per l'idea stessa di «servizio pubblico», e perciò, attraverso tentativi parziali e successivi, anche correndo il rischio di qualche errore, la Commissione ha il dovere di cercare risposte e misure giuste, adeguate. Certo, nel rispetto della legge e senza invadere campi dove si esercita la responsabilità di altri; ma senza sottrarsi alla responsabilità di discutere fra noi e pubblicamente. E senza rinunciare a manifestare - quando ce ne sono le condizioni - la propria valutazione, unanime o prevalente. Anche in forma di suggerimenti o dichiarazioni rivolti a chi ha il potere di decidere e la quotidiana responsabilità del «fare».<br>Se si riflette sui primi sei mesi dell'attività della Commissione e si fa l'elenco delle circostanze e dei problemi che hanno sollevato discussioni sul pluralismo e sulle modalità della sua attuazione e tutela, si trovano: <p>a) la questione delle cosiddette «dirette»; <p>b) la questione dell'equilibrio o «par condicio» nella informazione dei telegiornali;<p>c) la questione delle presenze dei politici nei programmi di intrattenimento:<p>d) la questione dei cosiddetti talk show e, più ampiamente, dei programmi di approfondimento. <br>Ce n'è un'altra, preliminare, che deriva dal nostro attuale sistema politico ed elettorale,vale a dire la difficile conciliazione fra il «pluralismo» dei partiti e il «pluralismo» governo-opposizione. La questione è avvertita e posta con forza soprattutto dai partiti minori, di ambedue gli schieramenti. Perfino nelle norme sulla par condicio elettorale la controversia non è risolta in modo soddisfacente. Si deve prendere atto che il nostro sistema è misto e prevede entrambe le articolazioni: quella dei partiti e quella maggioritaria. Il pluralismo non può - di conseguenza - ignorare né l'una né l'altra. Tuttavia che la lesione del «pluralismo» fra maggioranza e opposizione sembra da considerare più «pesante», in quanto meno facilmente recuperabile e perché attiene non solo alla rappresentanza ma alla funzione del governo. <br>Fin da ora, nello spirito del «suggerimento», si può provare a dire qualcosa sulle questioni elencate.<p>1) Le «dirette». Con questa espressione si intende la trasmissione di eventi che la RAI manda in onda in forma essenzialmente «documentaria» tanto per quanto riguarda le immagini, quanto per quel che riguarda i discorsi che, nel corso di quegli eventi, vengono pronunciati. Questo tipo di trasmissioni ha preso origine da avvenimenti di grande portata emotiva (ad esempio funerali), o di evidente importanza civile (marce della pace) sociale (manifestazioni sindacali) politica (manifestazioni, politiche, in particolare delle opposizioni pro tempore). La richiesta della «diretta» e la decisione di «concederla» - come si dice - presuppongono manifestazioni di carattere «straordinario». Ma è in atto una tendenza ad estendere le «dirette» anche ad altri eventi, sicuramente di rilievo ma «ordinari». Aumentano le sollecitazioni e le attese da varie parti. Tende ad affermarsi l'idea che la diretta della RAI significhi riconoscimento, «ufficializzazione» della importanza di un determinato evento. A parere dell'oratore questa equazione è falsa e pericolosa; si fonda su una premessa che non è propria di un «servizio pubblico» ma di una «televisione di stato», tipica di sistemi autoritari e burocratici.<br>La «diretta» è certamente un format da riservare a manifestazioni ufficiali dello Stato. Per gli altri eventi, tutti, deve valere la piena responsabilità della informazione giornalistica e di coloro che ad essa sono preposti; e solo quella. Il che significa che un evento considerato molto importante, del quale si vuole dare ampiamente conto ai cittadini, deve comunque essere trattato e trasmesso in forma giornalistica, e non «appaltando» i mezzi di trasmissione pubblici a immagini e parole intangibili. In particolare ciò deve valere per i discorsi. Se lo si ritiene interessante, utile, si può dare dettagliatamente conto di un discorso; si può, anche, trasmettere in voce passi considerati di particolare rilevanza. Ma la trasmissione integrale di un discorso è tutt'altra cosa, tipica delle «televisioni di stato».<p>2) Anche i telegiornali sono talvolta oggetto di rilievi sotto l'aspetto del pluralismo. Ad esempio c'è stato recentemente un episodio che ha riguardato il TG1. Tuttavia si può affermare che i «falli» di mancato rispetto del pluralismo nelle testate giornalistiche non presentano quasi mai particolare gravità. Non solo per la professionalità e la deontologia di coloro che in esse lavorano; ma anche perché la frequenza dei telegiornali e la continuità della cronaca politica, consentono di recuperare, correggere, riequilibrare in tempi rapidi. Inoltre, il controllo quantitativo degli istituti di rilevazione risulta, in questo caso, abbastanza incisivo e significativo. Lo spirito corrivo, la parzialità, nei telegiornali si manifesta piuttosto con la compiacenza, con qualche riguardo eccessivo. Non è una bella cosa, neppure dignitosa; sarebbe bene evitarla. Comunque l'essenziale di un'informazione completa ed equilibrata non viene compromesso. Qualcosa si deve fare per i giornali radio, per mettere riparo alla attuale indisponibilità di rilevazioni paragonabili a quelle televisive.<p>3) La presenza di politici nelle trasmissioni di intrattenimento diventa sempre più frequente. Non è più un'eccezione, ma la regola, praticamente in tutte le trasmissioni. Taluni osservano che oggi il politico deve misurarsi con i media, con la comunicazione, con la vita di tutti i giorni ecc. Se le presenze suddette avessero questo carattere «di servizio», allora dovrebbero coinvolgere tutti i politici, non solo di quelli della maggioranza, non solo di quelli che nella maggioranza sono ministri: avremmo una televisione con un ininterrotto sfilare di politici. Per di più, per fornire un servizio ai cittadini e alla democrazia si dovrebbe tenere sempre la porta aperta per individuare nuovi possibili talenti non ancora affermatisi: una sorta di «saranno famosi» per futuri politici.<br>D'altro canto, se gli spazi vengono utilizzati per dare evidenza a questo o a quello allora si impone un equilibrio, fino al «diritto di replica» riconosciuto formalmente in alcuni paesi a cominciare dall'Inghilterra. Tenuto conto dei caratteri complessi del nostro pluralismo politico (maggioranza-opposizione più i partiti) queste trasmissioni finirebbero per essere snaturate.<br>È senza dubbio più saggio ridurre al minimo queste presenze e ricondurle sempre, in modo non pretestuoso, alla necessità di raccogliere alla fonte un'informazione autorevole e documentata non disponibile altrimenti.<p>4) I talk show o programmi di approfondimento che dir si voglia sono diventati in Italia molto importanti: forse i più importanti ai fini del rapporto con gli ascoltatori e con l'opinione pubblica. Anche per questo sono oggetto di particolare attenzione e causa delle discussioni e dei dissensi più accesi.<br>La domanda da porsi è se sia possibile esaltarne gli aspetti indiscutibilmente utili e positivi e togliere, o ridurre quelli più opinabili e criticabili. La formula italiana del programma di approfondimento televisivo consente una rapidità ed elasticità di intervento che difficilmente sarebbe possibile con strumenti diversi. Consente inoltre - nelle sue espressioni migliori - un confronto stringente e illuminante fra i fatti e le opinioni, e fra le diverse opinioni con riferimento ai fatti.<br>Ma il contenitore si è via via riempito di contenuti più vari e non collegati alla tipicità del formato, alla sua specifica sintassi. Si pensi agli incontri con singole personalità (politiche, ma non solo) che andrebbero affidate alla stringatezza e alla perentorietà della intervista senza orpelli di spettacolo. Il conduttore ha progressivamente assunto una funzione che - in modo più o meno esplicito ma perfettamente percepito dall'ascoltatore - lo ha trasformato da arbitro in protagonista, quando non in mattatore.<br>Le esigenze della programmazione o, in ogni caso, l'organizzazione della produzione, fa sì che i pool addetti alla realizzazione di questi programmi siano strutture al servizio del conduttore stesso, che ha un ruolo monocratico sull'intero programma, dalla progettazione alla messa in onda. Non sembra ci siano in televisione, e neppure nella informazione in generale, ruoli nei quali un potere altrettanto forte sia concentrato in una sola persona. Si osserva che questa è la caratteristica ineliminabile di questo tipo di programmi; ma se così stanno le cose non sarebbe sbagliato considerare qualche misura di riequilibrio. Come potrebbe essere il collegamento con altre strutture giornalistiche, l'arricchimento dell'offerta di trasmissioni di questo genere, da aggiungere a quelle esistenti; o da avvicendare in modo che uno stesso programma non dilaghi nel tempo. Più in generale, potrebbe risultare fecondo differenziare e articolare le diverse occasioni di approfondimento, esaltandone la specificità, anziché ammassarle in un'unica tipologia di intervento.<br>In ogni caso, per il carattere stesso di questi programmi, non ci si può appellare al «pluralismo esterno»; sostenere, cioè che l'obbligo del pluralismo è soddisfatto dalla presenza di diverse trasmissioni che esprimono posizioni diverse. Il pluralismo deve essere innanzitutto «interno» a ciascuno di questi programmi, direi interno a ciascuna puntata. Talvolta, invece, si trascura un criterio aureo per l'informazione e per la sua libertà: il criterio della «imparzialità». Che non impedisce di esprimere con chiarezza un punto di vista. Un chiaro punto di vista può essere sostenuto con parzialità o con imparzialità. E il pluralismo richiede, sempre, imparzialità. <p>Il Presidente Petruccioli rinvia quindi il seguito della discussione. <br>Il Presidente comunica che l'Ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi già convocato al termine della seduta odierna, si svolgerà al termine della seduta convocata per le ore 14 di giovedì 6 giugno, ovvero di quella convocata per le ore 14 di domani se in essa si concluderà la discussione generale sul pluralismo nell'informazione. <br>La seduta termina alle 14h50. <br>
    0:07 Durata: 27 min 13 sec