30 AGO 2002

Radicali: Antonio Perrone, un caso ingiusto di 41bis

[NON DEFINITO] | - 00:00 Durata: 36 min 30 sec
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Dopo il caso Surace Antonio Perrone, detenuto "pentito", ma non come la legge impone.

Lecce, 30 agosto 2002 - Rita Bernardini, presidente di Radicali Italiani e Sergio D'Elia, segretario di Nessuno Tocchi Caino e membro della direzione di Radicali Italiani, si sono recati a Lecce per presentare la neonata associazione radicale pugliese "Diritto e Libertà".

L'associazione, come spiega il portavoce Giuseppe Napoli, è nata proprio con lo scopo di occuparsi di problematiche riguardanti il diritto, perché "molti passi devono essere ancora fatti nel nostro paese per dichiararsi in uno stato di
diritto".

Il caso Perrone Sergio D'Elia ha quindi colto questa occasione per presentare un nuovo caso da portare davanti l'opinione pubblica, come già i radicali avevano fatto con Stefano Surace.

Il caso in questione riguarda Antonio Perrone, detenuto da 13 anni per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti e rinchiuso sotto regime di 41bis, il cosiddetto carcere duro, dal primo giorno in cui il 41bis è stato istituito, nell'estate del '92.

"Ho deciso di dedicare il mio intervento esclusivamente a questo caso perché ritengo che sia emblematico di una situazione in Italia dell'applicazione del carcere duro, che contrariamente a quello che i giornali dicono e l'opinione pubblica, informata da questi giornali, pensa, è un caso emblematico di un'applicazione di una misura grave in maniera indiscriminata: tutti pensano che al 41bis ci siano Riina e Bagarella, questo non è vero, c'è anche il caso di un detenuto leccese: Antonio Perrone".

Costretto ad abbandonare il proprio casoD'Elia ha poi raccontato di aver ricevuto una lettera da Perrone in cui gli veniva descritta la propria vicenda: "In questa lettera dice che da due anni non impugna più il decreto ministeriale, anche se vi sarebbero sacrosante ragioni per farlo".

Nei decreti - ha proseguito - vengono continuamente citate le note informative di carabinieri, direzione investigativa antimafia, direzione nazionale antimafia, direzione distrettuale antimafia, cioè tutti gli organi investigativi e giudiziari che fanno riferimento ai precedenti penali e alla situazione di pericolosità sociale relativa al momento dell'arresto".L'accanimento penitenziario"Perrone - ha poi affermato D'Elia - dice che dal 95 in tutte le sedi quelle giudiziarie, ma anche davanti ai tribunali di sorveglianza, ha sempre manifestato la dissociazione dalle logiche criminali e dall'organizzazione criminale di appartenenza, quindi a grave rischio anche della propria incolumità".

"Perrone - ha reso noto il Segretario di Nessuno Tocchi Caino leggendo la lettera - prosegue dicendo che nelle note degli organi investigativi è stata accertata la partecipazione del figlio Alessio allo spaccio di droga, senza menzionare il fatto che nel dicembre del 2001 suo figlio è stato assolto dal tribunale di Lecce da qualsiasi addebito rispetto alla questione di spaccio.

Eppure - ha poi detto - nelle note informative come motivazione della ammissione al 41bis cita il fatto che anche il figlio è stato condannato.

"Questo è grave - ha dichiarato D'Elia - perché ci sono dei falsi clamorosi nelle note che giustificano e che motivano il 41bis".

La pericolosità di Perrone Circa l'attualità dei collegamenti con l'attività criminale e la sua pericolosità Perrone scrive per esempio che nel decreto si afferma che "Antonio Perrone non risulta avere dato segni di ravvedimento, manifestato volontà di collaborare con la giustizia", quando dal 94 dichiara "di aver chiuso con il mio passato, ogni volta che me ne è capita l'occasione ho fatto davanti alla Corte d'Assisse di Lecce, al tribunale di Sorveglianza di Sassari, di Lecce e di Rebibbia, ma evidentemente per una questione di politica criminale non mi si è mai voluto prendere in considerazione, probabilmente per non creare precedenti".

"Questo significa - ha poi affermato D'Elia - che dal 41bis si può uscire solo con un atto di pentimento e non con la dissociazione, di chiusura con il proprio passato: per il 41bis bastano i sospetti, non servono delle prove, c'è una presunzione di pericolosità sociale che fa riferimento esclusivamente ai titoli di reato per cui si è stati condannati".

Vittima dello Stato "Qui in discussione - ha quindi dichiarato - non è tanto cosa abbiano fatto i detenuti in 41bis, in discussione è lo Stato e la società civile che non si può consentire di negare a detenuti di questo tipo quei diritti umani fondamentali che loro hanno negato alle proprie vittime".

"Gli accanimenti penitenziari - ha quindi concluso - non giovano alla lotta alla mafia né all'immagine di uno Stato forte e di diritto".

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riduci

  • Giuseppe Napoli, portavoce dell'associazione Diritto e Libertà

    <br><em>Indice per interventi</em>
    0:00 Durata: 3 min 28 sec
  • Rita Bernardini, presidente di Radicali Italiani

    0:03 Durata: 5 min 25 sec
  • Sergio D'Elia, segretario di Nessuno Tocchi Caino e membro della direzione di Radicali Italiani

    0:08 Durata: 12 min 20 sec
  • Cosimo Rampino, difensore di Antonio Perrone

    0:21 Durata: 5 min 38 sec
  • Sebastiano Cannata, membro dell'associazione Diritto e Libertà

    0:26 Durata: 4 min 43 sec
  • Salvatore Antonaci, membro dell'associazione Diritto e Libertà

    0:31 Durata: 4 min 22 sec
  • Giuseppe Napoli conclude

    0:35 Durata: 34 sec