19 APR 2002

Storia del PCI: Dibattito all’Istituto Gramsci con Amato, D’Alema, Fassino e Mancino

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La presentazione del libro “Il PCI nell'Italia repubblicana” è l’occasione per discutere sulle categorie interpretative della storia recente del paese.

Amato e D’Alema si confrontano sui nodi principali della storiografia del Dopoguerra italianoRoma, 19 aprile 2002 – Il volume “Il PCI nell'Italia repubblicana”, riporta gli atti del convegno internazionale che si svolse a Roma il 25 e 26 maggio 2000.

In quella sede si discusse dell'interpretazione della storia del PCI del rapporto con l’Unione Sovietica, della “questione comunista” nel sistema politico del nostro paese e
più in generale nella storia del Novecento.I saggi raccolti nel volume propongono un'analisi storiografica fondata da un lato sulla vasta documentazione inedita di archivio resasi disponibile negli ultimi anni, e dall'altro sull'impiego di nuove categorie analitiche volte a collocare l'esperienza del comunismo italiano all'interno della storia italiana e internazionale del secondo dopoguerra.Intervengono alle presentazione del libro, tra gli altri, Giuliano Amato, Massimo D’Alema, Nicola Mancino, Piero Fassino.Doppie lealtàGiuliano Amato ritiene che la categoria di “doppia lealtà” coniata da Renzo De Felice, “una macchina che vale quanto il petrolio”, consente di ricostruire come PCI e DC hanno vissuto il rapporto rispettivamente con Unione Sovietica e Stati Uniti.

Una “doppia lealtà che spiega le interdipendenze tra quadro interno e internazionale”.Molto proficuo, per Amato, il raffronto tra come “PCI e DC giocano tra le due lealtà esterne”, confronto che “va a vantaggio della DC la quale ha saputo dare coerenza al vincolo internazionale in termini che corrispondevano agli interessi prioritari del paese con il passaggio del piano Marshall”.Togliatti a SalernoDall’altra parte l’analisi della “Svolta di Salerno serve per mettere in evidenza le interazioni tra il Partito e il suo referente internazionale: La posizione espressa a Salerno non è espressa univocamente dall’Urss, ma c’è interazione tra posizioni diverse sia interne sia esterne”.In quel frangente “prevale la decisione del Cremlino sullo stesso Togliatti, anche se Mosca non ha ancora messo a fuoco come utilizzare questo avamposto dall’altra parte che è il PCI”.

Stalin “vuole gestire la zona cuscinetto e non intende mettere a repentaglio gli equilibri cari a Roosevelt e Churchill ed ha quindi alcune incertezze sul partito italiano e non ha ancora alcuna aspettativa di espansione”.Tutto ciò tra l’altro consente di “demolire definitamente la mitologia comunista del carattere indipendente delle scelte di Togliatti a Salerno”.Il piano Marshall e l’UrssIl vero punto di svolta del libro – continua Amato – è la ricostruzione dell’atteggiamento dell’Urss rispetto al piano Marshall,che si configura come “una ferma opposizione verso un programma che produce un eccessivo rafforzamento atlantico nella zona europea, che per Stalin è pur sempre una zona di confine”.La mossa decisiva della DC è quindi “il sapere agganciare la politica nazionale alla politica atlantica affermandosi come forza nazionale, dall’altra parte il PCI, schierandosi sulla posizione Urss, si taglia le gambe come forza di governo nazionale”, e “si mette fuori dal politicamente plausibile nell’Italia di quegli anni”.Relativamente alla “prospettiva insurrezionale”, essa “viene accantonata per profonda convinzione di Togliatti ed anche i sovietici si convincono che questa è la scelta migliore”.

Meglio “preparare i binari di una azione politica in un sistema democratico”.I “legami” del PCIEsistono “tre fili” che legano il PCI all’Urss: “la Gladio Rossa, il finanziamento diretto del partito, la diramazione ad est con la formazione del personale e in alcuni casi con l’addestramento vero e proprio”.

Il legame politico con Mosca inoltre “non riesce a venire mai meno e il rapporto con essa è un dato essenziale in mancanza del quale il PCI sembra perdere una delle sue bussole”.Approccio liberoMassimo D’Alema del libro loda “l’approccio libero”, e il tentativo di voler risolvere “innovativamente il nodo tra due tradizioni che non sono solo storiografiche, le quali si sono scontrate anche sul terreno politico”.Si tratta da una parte “dell’idea di un PCI visto come formazione diversa e originale, in nuce presente in Gramsci e poi come svolgimento di questa originalità”, dall’altra la concezione di un PCI simile ad “un accampamento cosacco, una forza eterodiretta, semplice emanazione del comunismo internazionale, estranea alla democrazia”.Il libro propone un superamento di entrambe le visioni e restituisce “un partito la cui storia è letta nel nesso nazionale e internazionale, all’interno della vicenda del comunismo internazionale e nazionale”.Lo “strappo”Ci sono inoltre – prosegue D’Alema – gli elementi che consentono di fare giustizia una volta per tutte dell’uso “di retrodatare lo strappo PCI-PCUS”.

L’antagonismo con il PCUS “ha esito dagli anni 80 in poi”, esso assume le forme del “conflitto tra PCI e il centro sovietico, che avviene anche sul terreno della lotta politica, si prova a mettere in campo un isolamento internazionale, e c’è inoltre una rottura del legame organizzativo finanziario”.In questo senso l’esperienza di “Berlinguer deve essere letta nella sua aspirazione, anche illusoria, dopo il 1968, di una possibile trasformazione democratica del comunismo dal suo interno stesso”.Rimane, nella comprensione della storia del PCI da risolvere “un grande interrogativo identitario, legato anche alla sopravvivenza dell’elemento finalistico”.

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