20 AGO 2002

Sergio Romano: Presentazione del libro «Memorie di un conservatore»

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Gli ultimi dieci anni e le prospettive dopo l'11 settembre tra gli argomenti compresi nel nuovo libro di Sergio Romano Montecatini Terme (Pistoia), 20 agosto 2002 - Sergio Romano, editorialista scrittore ed ex ambasciatore, incontra stampa e pubblico per presentare il suo ultimo libro dal titolo "Memorie di un conservatore".

Un conservatore liberale "Vi sono conservatori che sono innanzitutto liberali - spiega Sergio Romano rispondendo alle domande della giornalista Faustina Tori - e in quanto tali credono che gli uomini hanno dei diritti che vanno rispettati e tutelati".

I conservatori
liberali, nel cui pensiero Sergio Romano si riconosce, ritengono che "lo stato non deve usurpare delle sfere di libertà che sono del cittadino e dell'uomo in quanto tale", cittadino che ha "il diritto di credere, di scrivere, di organizzarsi intorno a ciò in cui crede".

In particolare "il conservatore condisce la sua fede liberale anche con una certa dose di realismo e qualche volta di scetticismo", e ritiene che "le novità andrebbero dosate e controllate".

Come la globalizzazione, "che è una buona cosa che non verrà mai realizzata pienamente".

Tra l'altro "l'ideologia della globalizzazione è come tutte le ideologie".

L'Italia e la fine della Guerra Fredda Passando a discutere delle questioni legate al dibattito politico in corso in Italia negli ultimi dieci anni, Romano rileva che finalmente "Il voto non rispecchia e non deve rispecchiare le convinzioni politiche dei singoli".

Oggi è possibile "scegliere secondo circostanze e contingenze, perché è finita l'epoca in cui gli italiani dovevano essere battezzati politicamente fino alla fine dei loro giorni", ed è finalmente possibile esercitare "la libertà sia di cambiare voto e anche di non votare".

Dopo il 1993 nel paese si "creò un vuoto nel sistema politico" e Berlusconi "ebbe il merito di riempire quel vuoto".

Egli "avrebbe però di lì in avanti rappresentato una grossa anomalia nel panorama politico" essendo "uomo di aziende, e non qualsiasi, trattandosi di aziende delle comunicazioni".

Il fatto è che era "proprietario di aziende utilissime alla creazione di un partito, dato che in Finivest aveva tutti gli strumenti, dai sondaggi alle indagini di mercato alla pubblicità e la propaganda".

A Mosca negli anni Ottanta Nel libro Romano discute anche della sua esperienza come ambasciatore a Mosca, negli anni Ottanta.

Rispondendo alle domande del pubblico ricorda di come "Gorbaciov intraprese in quel momento la via delle riforme economiche che diventavano sempre più incisive".

L'allora leader del Cremlino "non era però disposto a riforme radicali e non voleva introdurre la proprietà privata dei mezzi di produzione, soltanto voleva introdurre innovazione tecniche e culturali".

"Gorbaciov non era inoltre favorevole al prulipartitismo e riteneva che un partito unico, vale a dire il Pcus, era esattamente la ricetta adatta alla società russa e sovietica".

Questo era il quadro all'interno del quale "voleva fare andare a una maggiore velocità l'economia sovietica".

"La maggiore contraddizione del programma di Gorbaciov - ricorda l'ex ambasciatore a Mosca - era cercare il dibattito e la trasparenza senza il pluripartitismo".

A quell'epoca il governo italiano "era presieduto da Ciriaco De Mita che veniva dalla sinistra Dc e aveva fatto un investimento di speranza sulle riforme gorbacioviane, perché aveva mal tollerato l'ascesa di Craxi, per lui un intruso che aveva rotto l'equilibrio nel rapporto Dc Pci inaugurato da Aldo Moro".

"De Mita - prosegue - si aspettava molto da quelle riforme" e in particolare che i rapporti "Dc-Pci divenissero più facili".

"De Mita sperò nel successo di Gorbaciov, mentre io a Mosca - aggiunge Romano - avevo dei dubbi".

E così si arrivò alla rottura e alle dimissioni.

Dopo l'11/9 Quanto all'oggi, Romano ritiene che dopo l'11 settembre "la società statunitense ha subito un forte shock nel sentimento della propria sicurezza".

Oggi gli Usa vivono di una strana "miscela" che vede congiunto questo shock al "sentimento di potenza", connesso alla "vecchia tradizione isolazionista e unilateralista" riemerso con l'amministrazione Bush.

Tale sentimento "ha creato la via della guerra afgana, e potrebbe dare il via a una seconda guerra con l'Iraq".

Citando quindi le parole che Checov rivolse a un regista, Romano ricorda che "se si appende a un muro un fucile nel primo atto, quel fucile prima della fine del terzo atto deve sparare".

"Ho l'impressione - conclude Romano - che quel fucile è stato già appeso al muro da un pezzo".

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