16 LUG 2005
intervista

Sofia 1973: Berlinguer deve morire. Intervista a F. Fasanella

INTERVISTA | - 00:00 Durata: 53 min 3 sec
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Roma 16 luglio 2005 - L’attentato che non ci fu.

Sono 14 anni che si parla del complotto ordito dal Kgb ai danni di Enrico Berlinguer per ucciderlo e non si trova una sola prova che questo progetto sia stato messo in atto dai servizi segreti sovietici.

Il fatto sarebbe accaduto a Sofia il 3 ottobre del 1973 al termine della visita del segretario del Partito comunista italiano nella capitale bulgara.

Mentre la delegazione italiana si reca dalla capitale all’aeroporto per il ritorno in Italia, un camion militare si schianta contro la macchina dove si trova il segretario del Pci
Berlinguer.

Muore un funzionario bulgaro, il leader comunista resta ferito.

Questo è lo spunto di un libro interessante dal titolo: Sofia 1973: Berlinguer deve morire (Fazi editore), scritto da Giovanni Fasanella e Corrado Incerticon la prefazione di Giuseppe Vacca.

E’ lo stesso Vacca a spiegare nell’introduzione del libro che l’incidente automobilistico occorso a Berlinguer fosse in realtà un attentato non può essere documentato in modo incontrovertibile.

Ma subito dopo, Vacca spiega che già all’inizio degli anni ’90, periodo a cui risalgono le prime rivelazioni da parte di Emanuele Macaluso, gli autori del libro verificarono la distruzione sistematica dei documenti che avrebbero potuto acclarare l’accaduto.

In questo caso, la scomparsa di questi documenti non è mai stata tanto provvidenziale per due giornalisti che si apprestano a scrivere un libro.

La tesi del libro è questa: l’attentato c’è stato, ma i documenti non ci sono.

Ammesso che quello di Sofia fu un attentato contro Berlinguer voluto dal Kgb per punire la linea politica di avvicinamento ai partiti borghesi del Pci, non si comprende perché i servizi segreti bulgari abbiano fatto sparire tutte le prove e ne siano rimaste altre come lo stenografico del colloquio a Varna tra il segretario del Partito comunista bulgaro e Todor Zhivkov e Berlinguer ritrovate dal funzionario dell’archivio di stato di Sofia Filip Bokov.

Il ritrovamento di questa busta e anche delle foto dell’incidente, allora sequestrate dai servizi segreti bulgari, testimoniano che probabilmente non c’era nulla da nascondere nonostante i toni duri dello scontro tra Berlinguer e Zivkhov su questioni come l’invasione della Cecoslovacchia del 1968.

Ma nel libro non vengono raccontate alcune questioni importanti che riguardavano i rapporti trilaterali tra la Bulgaria, il Pci e il Kgb.

Nell’incontro di Varna, il primo di due incontri con il leader comunista bulgaro, tra Berlinguer e Zivkhov si parla anche di una precedente visita del segretario del Pci Luigi Longo nella località marittima bulgara.

Ma gli autori del libro non si preoccupano di spiegare i contenuti di quella visita che riguardano anche il progetto della costruzione di una stazione di trasmissione radio proposta dal capo del Kgb Jurij Andropov (documento 2052-a del Kgb del 28 luglio 1970) per inviare disposizioni e ricevere informazioni dal Pci.

Nel giugno del 1970 si riunisce la Direzione del Pci che è d’accordo sulla nascita di queste stazioni radio, ma il Partito Comunista Italiano fa sapere di non voler dipendere dalla Bulgaria, ma direttamente da Mosca.

E’ senza dubbio vero che in quegli anni Pci italiano non aveva la stessa impostazione di Mosca sull’azione politica da svolgere in Italia, ma da qui a pensare ad un attentato del Kgb ce ne corre.

Un attentato poteva essere giustificato solo da una rottura tra Mosca e Botteghe oscure che non ci fu mai.

Non va dimenticato che i contrasti tra Pci e Pcus erano già iniziati nella seconda metà degli anni ’60, in particolare nel 1968, quando il Kgb aveva incoraggiato la nascita di Lotta del popolo, un partito comunista di matrice maoista.

Ma si trattava di un azione di disturbo grossolana del Kgb niente più, eseguita dai servizi segreti cecoslovacchi.

Del resto, colui che ha rivelato il presunto attentato del Kgb a Berlinguer al settimanale Panorama, Emanuele Macaluso, era considerato un personaggio che non era ben visto dal Kgb e che aveva un conto in sospeso con i servizi segreti sovietici che lo volevano mettere in cattiva luce con il segretario del partito Longo (Vedi dossier Impedian 134).

Infatti, Macaluso non porta nessuna prova concreta, ma solo le indiscrezioni e le comprensibili paure dei familiari di Berlinguer circa un attentato.

Ma un altro elemento da valutare è la circostanza in cui si sarebbe svolto l’attentato.

La partenza di Berlinguer da Sofia il 3 ottobre del 1973 è stata improvvisa.

Un funzionario dei servizi segreti bulgari aveva annunciato ai giornalisti la mattina del 3 ottobre che i colloqui di Sofia con Zivkhov andavano male e che il programma iniziale è cambiato e subito dopo annunciava la partenza di Berlinguer.

In quel caso l’attentato avrebbe dovuto essere organizzato di corsa.

E credibile questa tesi?! Un attentato di quel genere sarebbe stato davvero un errore clamoroso per il Kgb.

Ma oggi probabilmente fa comodo pensare il contrario e lasciar credere che Berlinguer era sul punto di essere ucciso dal Kgb per dimostrare la grandezza del suo progetto politico in Italia.

Ma se allora le cose fossero andate così perché stendere un velo di silenzio su quell’attentato?! Quando il leader del Pci tornò in Italia, la preoccupazione del quotidiano del Pci l’Unità fu quella di non scrivere nulla sull’incidente di Sofia se non che Berlinguer era tornato in Italia con un aereo speciale.

Per capire meglio come andavano le cose tra il Pci i paesi fratelli basterà leggere un passo significativo di Oro da Mosca di Valerio Riva (Mondadori - 2002): “tra Pci, Pcus e Pc bulgaro non poteva esserci e non c’era ‘alcun segreto’.

Questo tacito accordo andrà avanti fino quasi agli anni ’80.

Basterà citare uno dei documenti citati in questo libro col numero 133: dal documento si deduce (molto chiaramente) che ancora a metà del 1977, il compagno che va a Mosca ad addestrarsi, tale Domenico Dardi, è obbligato a passare per Sofia; i bulgari gli comprano il biglietto d’aereo, gli pagano il vitto e la permanenza, gli rimborsano perfino le piccole spese personali.

Ma dopo, spediscono la fattura a Mosca” (pagina 385).

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