03 LUG 2001

Marcia per il Tibet: Intervista a Tenzim Bagdro, monaco buddhista ed ex prigioniero politico

[NON DEFINITO] | - 00:00 Durata: 44 min 41 sec

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Monghidoro (Bo), 2 luglio 2001 - Tenzim Bagdro è un monaco tibetano.

Nato nel 1970, sotto la bandiera cinese, non ha mai visto il Tibet libero.

Ha avuto una cittadinanza di seconda classe nel suo paese ed una vita piena di difficoltà.

Il governo di Pechino ha cercato di "imporre il comunismo nella sua testa" impedendogli di conoscere la storia del Tibet e la libertà.

Non ha avuto l'opportunità di imparare la lingua tibetana nè la sua religione.

I cinesi sostengono che quella tibetana è una lingua "non importante" e la religione buddista è "un veleno".

'La povertà mi ha portato in
monastero'L'arrivo dei cinesi in Tibet ha costretto quei pochi indigeni con ristoranti e negozi a cederli.

Il governo di Pechino diffida dei "piccoli business" dei tibetani, perchè potrebbero portare "soldi per opporsi al regime".

La legge cinese impone alle donne tibetane, che appartengono ad un'etnia che non ha certo problemi demografici, un massimo di due figli.

Un terzo o un quarto figlio non hanno diritto di cittadinanza in Cina e sono considerati alla stregua di cose, oggetti.

In passato il regime cinese ha sterminato un milione e duecento tibetani e ditrutto più di seimila monasteri.

Anche la famiglia di Tenzim ha avuto moltissimi problemi e proprio l'estrema indigenza della famiglia ha portato alla morte sua sorella.

Ogni anno molti turisti occidentali costituiscono un importante testimonianza per il Tibet.

Così il governo tibetano in esilio ha cominciato a sapere della sofferenza che i tibetani hanno patito e cominciato a lanciare appelli nel mondo.

Conseguenza è stata una la concessione di un'esile libertà di religione in Tibet.

E' in questo spiraglio che Tenzim Bagdro ha deciso di diventare monaco.

"Non lo sono diventato perchè lo volevo, ma è la povertà che mi ha portato in monastero" - racconta.

Ha incontrato due turisti americani che recavano con sé un libro del Dalai Lama, "La mia terra, la mia gente", che gli ha "cambiato la vita".

"Non sapevo nulla della povertà dei tibetani nè quello che i comunisti cinesi avevano fatto al Tibet".

Dopo quell'incontro Tenzim ha cominciato a lottare per la libertà e indipendenza del Tibet.

"Qualsiasi essere umano deve ottenere la libertà" - spiega.

"Anche il papa parla dei diritti umani.

Li voglio anch'io e come me li vuole il popolo tibetano".

La decisione di 'uscire allo scoperto'La prima iniziativa è stata mettere manifesti sui muri.

Ma non dava risultati.

E' per questo che dopo un po' ha pensato di uscire allo scoperto e fare qualcosa di "grosso".

Nel corso di una festa, approfittando della visita di tantissimi turisti, ha guidato una manifestazione.

Durante la manifestazione i cinesi hanno reagito molto aggressivamente, usando pistole e bastoni elettronici.

Tenzim è stato seguìto da molti tibetani: contro di loro i cinesi hanno sparato alla cieca e lanciato lacrimogeni.

Una ragazza tibetana è morta immediatamente con un colpo al seno.

Così un altro ragazzo.

Tanti monaci sono stati letteralmente buttati dal terzo piano del monastero dove si svolgeva la festa, come pietre o oggetti.

La reclusione e le torture In Tibet, racconta ancora Tenzim, "il colore del monastero è diventato rosso sangue".

Da quel momento in poi è cominciata l'odissea del giovane monaco.

E mentre i cinesi hanno iniziato ad offrire soldi ai delatori, Tenzim è rimasto nascosto a Lhasa.

Il 18 aprile, tornato a casa, però viene fermato.

Appena arrestato viene picchiato con un fucile sulla testa e portato in un monastero diventato campo militare.

Successivamente è trasferito in prigione.

Qui Tenzim si rende conto di non essere il solo monaco.

"Ho sentito urla di persone che chiamavano la propria madre, - è il suo racconto - e i cinesi che li deridevano.

'Ti faccio urlare per la felicità' - dicevano.

Mi hanno legato gambe, piedi e mani.

Mi hanno lasciato in piedi tutta la notte.

Quando cercavo di dormire venivano a picchiarmi.

Il primo giorno ero molto spaventato.

Il secondo giorno ho subìto l'interrogatorio.

Sul tavolo c'erano tutti gli strumenti di tortura.

Mi chiedevano quanti soldi avessi ricevuto dal Dalai Lama, dall'Europa e dagli americani per fare quello che avevo fatto.

Quanti amici erano con me.

Rispondevo che ero solo.

Loro hanno cominciato a gridare dicendo che ero bugiardo.

Mi hanno messo un bastone elettrico in bocca, orecchie e sul cuore cuore.

Mi hanno messo nudo sottosopra e mi hanno infilato il bastone nell'ano.

C'era sangue dappertutto.

Mi davano pochisismo cibo.

Ho cominciato a mangiare parti della mia camicia e il sapone.

I cinesi a volte gettavano apposta il pane nel cesso e poi ci ordinavano di mangiarlo.

Così ammalano moltissimi prigionieri.

Qualcuno è morto.

Ricordo di essere stato messo nudo fuori al freddo quando nevicava.

Sono diventato quasi matto.

In carcere ho scoperto che prendevano il sangue dei detenuti per mandarlo in Cina".

Tenzim però riesce a fuggire.

Poichè "sta ammattendo", i cinesi lo ricoverano in ospedale e da lì alcuni tibetani l'aiutano a fuggire.

Perchè sia "testimone".

Il giovane monaco cammina sull'Himalaya per tre mesi prima di arrivare in India, pesa 39 chili.

Ancora adesso ha problemi a dormire.

La testimonianza di Bagdro in Europa La sua testimonianza parte dalla Francia in cui madame Mitterand lo fa curare.

Ora Tenzim è in Italia per "far sapere" agli Italiani.

"L'indipendenza del Tibet - spiega - dipende anche dalla nostra religione che i cinesi cercano di distruggere.

E' dovere del mondo aiutarci a non perdere questa ricchissima cultura che gli appartiene.

Sotto il governo di Pechino non solo i tibetani soffrono ma anche i cinesi.

Il governo italiano deve dare la possibilità al Dalai Lama di parlare in Parlamento.

Dando questa opportunità darà la possibilità di conoscere esattamente cosa è successo".

Il Dalai Lama, per esempio, non ha mai parlato all'Onu, organizzazione che propugna il rispetto e la tutela dei diritti umani e che in questo momento sembra più preoccupata di "rappresentare commercialmente" la Cina.

Forse, conclude il monaco tibetano, sia l'Onu che il governo cinese sanno che invitare il Dalai Lama sarebbe molto vergognoso per loro.

La testimonianza di Tenzim Bagdro è raccolta da Donatella Poretti, la traduzione è a cura di Karma Chukei, dell'Associazione Italia-Tibet.

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