24 MAG 2002

«Il potere e la Mafia»: Presentazione del film documentario su Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (con Caselli ed altri)

[NON DEFINITO] | - 00:00 Durata: 6 ore 24 min

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Usano lo stesso metodo, ma incontrano maggiori difficoltà.

Gli eredi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino spiegano i buchi della attuale stagione antimafia.

Tra le cause principali, la strategia del Governo che «lascia soli i magistrati»Palermo, 24 maggio 2002 - «Falcone era sicuramente molto meglio, diecimila volte più bravo», ma «il metodo è sempre lo stesso».

Guido Lo Forte, Antonino Ingroia, Roberto Scarpinato, Massimo Russo, i colleghi più vicini a Falcone ai tempi del maxiprocesso di Palermo, ne sono convinti.

La strategia di lotta alla mafia della Procura di oggi è la stessa
che usava il magistrato ucciso nel '92.«Sono numerosi gli ipocriti, i servi e i voltagabbana - spiega il procuratore capo di allora, Gian Carlo Caselli -, ad affermare che il nostro metodo, che ha prodotto 251 ergastoli, è sbagliato, è fare un regalo alla mafia».

In questo senso, Mario Almerighi, sostituto procuratore romano, auspica che il filmato trasmesso prima del dibattito, immagini di Falcone e Borsellino che esprimono il proprio pensiero, sia trasmesso dalla Rai.

«E' giusto che gli italiani conoscano il pensiero autentico dei due colleghi uccisi».

Fanno parte del passato di speranza che si contrappone ai buchi della storia giudiziaria recente nei quali la mafia ha giocato sempre un ruolo di rilievo.

«Una società che non ha la maturità democratica per fare i conti con il proprio passato - osserva il procuratore aggiunto di Palermo, Roberto Scarpinato - è condannata a subire il ritorno dei fascismi e delle mafie».Anche il maxiprocesso sarebbe fallitoSe identica è la strategia, maggiori però sono le difficoltà che vive l'attuale stagione antimafia.

«Le indagini su Capaci sono state rallentate e condizionate, così come Falcone venne fermato nel 1987» - racconta Luca Tescaroli, il pm che a Caltanissetta ha istruito il processo agli esecutori della strage.

«Allora come oggi il gioco grande del potere non può consentirsi la verità».A Falcone però andò meglio.

Caselli ricorda che forse anche il maxiprocesso sarebbe fallito, «se il presidente di Cassazione che doveva decidere in ultima istanza il processo non fosse stato cambiato».

Poco prima del processo di legittimità, infatti, il ministro della Giustizia di allora, Claudio Martelli, convocò il primo presidente della Suprema Corte per chiedergli per ragioni di trasparenza e di equilibrio di adottare, a partire dal maxiprocesso e dal caso Sofri, un principio di rotazione nell’assegnazione dei processi di mafia e di terrorismo.Meno tutelati si sentono, dunque, i pm di oggi.

«Tra qualche tempo parlerete di me come una grande insabbiatrice» - annuncia Franca Imbergamo, sostituto procuratore che recentemente ha ottenuto la condanna in via definitiva per Tano Badalamenti, mandante dell'omicidio di Peppino Impastato.

«Sto scrivendo eccellenti richieste di archiviazione, ma solo perché nel frattempo sono mutati i criteri di valutazione della prova» - chiarisce la pm.Sotto accusa la strategia antimafia del governo Sotto accusa la strategia antimafia del governo che sottrae gli strumenti di repressione e lascia soli i magistrati.«Quanti giovani colleghi ho visto andar via dalla Sicilia con le lacrime agli occhi - afferma Scarpinato -, visto che ogni giorno sembrava svuotarsi sempre più il proprio impegno quotidiano.

Come si fa a nutrire speranza quando lo Stato non riesce a ricostituire la commissione stragi?».

A dispetto delle polemiche subito scatenatesi nell'opposizione, i magistrati vedono invece un segnale di speranza nel provvedimento che proroga ed stende l'efficacia del 41-bis, adottato in Consiglio dei Ministri quest'oggi.

«Ci auguriamo che non sia isolato» - dice Lo Forte.

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