12 GIU 2002

Bruno Vespa: Presentazione del libro «Rai, la grande guerra» (con Saccà, Bernabei, Agnes)

[NON DEFINITO] | - 00:00 Durata: 5 ore 30 min

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Il conduttore di 'Porta a Porta' racconta: «Ho avuto quindici direttori generali ma mai un padrone».

Saccà, Bernabei ed Agnes concordi: «E' finita la moda delle privatizzazioni»Roma, 12 giugno 2002 - - Ettore Bernabei, Biagio Agnes, Agostino Saccà.

Tutti riuniti per presentare l'ultimo libro di Bruno Vespa, dal titolo: «Rai, la grande guerra».

Presentazione che avviene nella stessa giornata in cui la Commissione Vigilanza Rai ha ascoltato il celebre giornalista e poche ore dopo che il Cda Rai, su proposta di Saccà, ha nominato i vicedirettori delle tre reti televisive, dei programmi
radiofonici e la vicedirezione del personale.

Tocca soprattutto all'attuale direttore generale rassicurare l'uditorio sulle condizioni in cui versa il servizio pubblico.

«La guerra non è nella Rai, nè con le tv commerciali, - dice subito Saccà - è una guerra con la politica e della politica.

Per fortuna c’è un partito Rai trasversale che pensa al telespettatore.

Meritiamo più rispetto.

Abbiamo nominato vicedirettore al Tg2 il cronista politico di un quotidiano, il giorno dopo il suo stesso giornale lo ha messo in quota a un partito».Il passato.

Dal terrorismo a tangentopoliNon sono state sempre rose e fiori.

Ricorda Vespa: «Ho avuto quindici direttori generali ma mai un padrone.

Perché tutti i giorni, con altri, ho dovuto combattere una doppia battaglia: per vincere con l’azienda sul mercato e per la nostra autonomia».Confermano i due direttori del passato, Bernabei ed Agnes.

Racconta quest'ultimo: «Ero appena stato nominato direttore generale che venne da me il sindacato interno.

Mi chiesero di porre fine alla lottizzazione.

Risposi che ero felice di quella proposta perché avrei potuto dire di no a quelli che avevano premuto per le assunzioni dei miei interlocutori: tutti, nessuno escluso».

E Bernabei: «L’azienda è un baluardo di libertà quando rispetta il pubblico, come ha fatto sempre Vespa».

Proprio Bernabei, tuttavia, ricorda la libertà e la responsabilità della Rai durante la stagione del terrorismo, ma non durante l´era di Tangentopoli.

E mette in guardia Vespa ed i suoi colleghi dall´accantonare la politica per privilegiare la cronaca in nome dell´auditel.

Il futuro.

Privatizzazione, sì o no?Sostanziale accordo sull'ultimo tema della serata.

No alla privatizzazione «selvaggia».

«Senza la Rai, l’Italia sarebbe un paese più povero.

Come la Bbc è l’Inghilterrra, la Rai è l’Italia.

E con la privatizzazione, finirebbe un pezzo del nostro paese.

La memoria storica di un secolo intero» - esordisce Saccà.

Per Bernabei: «L'editore di riferimento della Rai, credo, debba rimanere il Parlamento.

È finita - osserva - la moda delle privatizzazioni».

Per Biagio Agnes: «Vendere una o due reti sarebbe la morte della Rai».

La proposta dell'attuale direttore generale è legata al modello della public company realizzata attraverso la cessione di «stock option» ai dipendenti, dai direttori ai tecnici.«La Rai non può non essere qualcosa che appartiene al pubblico - spiega - credo che già subito lo Stato, il Tesoro, potrebbe dare ai dipendenti delle stock option in una percentuale congrua.

Sarebbe un segnale forte, l'indicazione che si vuol procedere verso una via di privatizzazione ma tra virgolette e con garanzie».

La sola Raiuno, infatti, «senza pesi impropri», assicurerebbe 300 miliardi di lire di utili l'anno, pari a 20mila miliardi di vecchie lire di capitalizzazione.Il direttore generale sottolinea anche che «in fondo il mercato della Rai è piccolo, sui 27 milioni di telespettatori».

Diventa quindi necessario individuare un mercato più largo di riferimento «quello latino, che comprende 600-700 milioni di telespettatori-consumatori, compresi quelli del sud America».

«Alla Rai - conclude Saccà - non manca affatto un orizzonte strategico e la progettualità, ma il problema grande è quello delle risorse: infatti negli ultimi cinque anni il canone è diminuito in maniera determinante mettendo in serio pericolo il servizio pubblico.

A questo punto la domanda al mondo politico: la Rai serve o no? Se sì, allora metteteci in condizioni di andare avanti».

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