04 DIC 2002

Confindustria: «Previsioni macroeconomiche. Borsa e riforme della corporate governance»

[NON DEFINITO] | - 00:00 Durata: 2 ore 48 min

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Per rivedere la ripresa economica bisognerà aspettare il 2004.

Secondo il Rapporto provisionale di Confindustria, il prossimo sarà infatti un anno di convalescenza più che un anno di sviluppoRoma, 4 dicembre 2002 - Nel 2002 l'Italia non dovrebbe crescere più dello 0,4%.

Pesano sulla modesta performance dell'Italia rispetto alla media dell'Area dell'euro, la crisi del nostro principale mercato di sbocco, vale a dire la Germania, la netta caduta degli indici di fiducia delle famiglie e la debolezza dell'Italia nelle produzioni ad alta tecnologia.

Quest'ultimo fattore in particolare ha
consentito al nostro paese di risentire meno degli altri del crollo degli investimenti mondiali in Ict del 2001.

Sul piano strutturale costituisce un handicap: l'Italia non beneficia della ripresa di uno dei settori più dinamici dell'economia mondiale.

Nella mancata crescita dell'Italia ha un ruolo da protagonista la crisi Fiat.

Non tanto per il peso del suo indotto sul Pil (in verità, non eccessivo: 0,4-0,6%), quanto per il valore simbolico e l'attenzione dei media, che incidono negativamente sugli indici di fiducia delle famiglie.

L'attuale fase di debolezza congiunturale, qui come nel resto d'Europa, dovrebbe trascinarsi per buona parte del primo semestre 2003.

Solo un recupero dei ritmi produttivi nei successivi sei mesi potrebbe consentire un tasso di crescita del 1,4% nella media dell'anno e del 2% tendenziale alla fine dell'anno.L'occupazione - Dopo due anni molto positivi, il mercato del lavoro italiano sta risentendo del rallentamento congiunturale in atto dal 2001.

Preoccupante l’andamento delle regioni settentrionali, dove il numero degli occupati ha cominciato a diminuire e il tasso di disoccupazione è cresciuto.

Tuttavia, grazie al trascinamento positivo ereditato dallo scorso anno, la crescita dell’occupazione nel 2002 si collocherà ancora intorno all’1,2%.

Al contrario, la scarsa dinamica occupazionale del 2002 peserà in modo rilevante sulla crescita media annua nel 2003, che dovrebbe fermarsi attorno allo 0,6%.L'inflazione - Nei mesi estivi l’inflazione è nuovamente aumentata ed ha raggiunto il 2,8% a novembre.

Il processo di convergenza dell’inflazione italiana a quella europea, che si era realizzato con successo fino ai primi mesi del 2002, si è temporaneamente arrestato.

Per i prossimi mesi, segnali positivi provengono dalla dinamica moderata dei prezzi alla produzione per i beni finali di consumo, in significativo rallentamento rispetto all’anno scorso, e dalle indagini sulle aspettative di prezzi delle imprese.

Anche scontando un aumento consistente del prezzo del petrolio nel corso dei primi mesi del 2003, la debolezza dell’attuale fase ciclica dovrebbe contenere molto le spinte al rialzo sui prezzi.

In questo quadro, la previsione del Centro studi sull’inflazione tendenziale, o inerziale, è 1,8% per il 2003 e 1,7% per il 2004.

Risultati migliori - secondo confindustria - possono essere conseguiti utilizzando lo strumento dell’inflazione programmata, con obiettivi più ambiziosi (1,4%) di quelle che sono le tendenze inerziali del sistema.

I conti pubblici - Secondo le stime di Viale dell'Astronomia, il disavanzo della p.A.

si attesterà al 2,6% del Pil quest’anno, al 2,3% nel 2003 e al 2% nel 2004.

Si tratta di valutazioni meno favorevoli di quelle ufficiali (2,1% nel 2002, 1,5% nel 2003 e 0,6% nel 2004), ma sostanzialmente in linea con l’interpretazione del Patto di Stabilità che è emersa in Europa negli ultimi mesi, in base alla quale i paesi ancora in disavanzo dovrebbero migliorare dello 0,5% ogni anno il saldo strutturale (ossia depurato per gli effetti del ciclo).

Nel 2003 il disavanzo strutturale dovrebbe scendere dello 0,5% rispetto al 2002.

Per il 2004, in assenza di ulteriori manovre, il disavanzo risalirebbe al 2,9%, per effetto del venir meno delle misure una tantum del 2003.

Nel suo scenario base confindustria ipotizza una manovra consistente nell’autunno prossimo, tale da portare il disavanzo effettivo del 2004 al 2%.Il gettito tributario - Anche qui la previsione di Confindustria per il 2002 differisce da quella del Governo.

Incertezza permane sull’esito effettivo dell’autotassazione, sulla possibilità che venga completata entro l’anno la seconda operazione di cartolarizzazione immobiliare, sugli effetti del decreto «blocca spese».

Il maggior disavanzo 2003 rispetto alla previsione ufficiale (2,3% contro 1,5%) è spiegato da Gianpaolo Galli come l’effetto netto di tre fattori: il trascinamento sul 2003 del maggior disavanzo 2002 (+0,4%), la minore crescita 2003 rispetto alla previsione ufficiale (con effetto sul disavanzo pari ad altri 0,4 punti), la minore spesa per interessi (-0,2%) nella valutazione del Centro Studi come la diversa valutazione della manovra della legge finanziaria (+0,2%).La manovra - In questo caso, i dubbi di confindustria riguardano soprattutto il gettito per il 2003 dei concordati fiscali e il fatto che non è ancora chiaro a quali provvedimenti vada ascritta una parte rilevante della manovra.

Se, nei comunicati ufficiali di settembre, si era detto che la manovra consisteva di oltre 20 miliardi di euro al lordo degli sgravi fiscali del Patto per l’Italia e che al netto di tali sgravi la manovra era pari a circa 13 miliardi, dalla tabella della relazione tecnica che quantifica gli effetti della legge Finanziaria, si evince invece che la manovra netta è di 9,6 miliardi.

Secondo Galli mancano all’appello 3-4 miliardi di euro che varie fonti (Banca d’Italia, Isae) classificano come «Altro» oppure «Altro, Poste e FS».Devolution - Su tutto quanto grava l’incognita della Devolution e dell’attuazione del federalismo fiscale.

Nella situazione attuale, Confindustria ritiene difficile immaginare che il federalismo possa accompagnarsi ad una riduzione di spese.

Probabilmente vi sarà una moltiplicazione dei centri di costo, inoltre si porrà in misura crescente il problema di come far partecipare le amministrazioni locali agli impegni di bilancio presi in sede europea, ossia di come suddividere i tagli di spesa fra Stato centrale e sistema delle autonomie.

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