10 SET 2003

Immigrazione: "Le colf straniere: Culture familiari a confronto."

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10-09-2003 - L’identikit delle colf straniere che lavorano nelle case degli italiani: chi sono, perché hanno scelto di emigrare, quali attività svolgono? Quante sono regolarizzate e che tipo di rapporto di lavoro hanno? E ancora: quale immagine hanno della famiglia italiana, quanto si sono integrate e soprattutto come vedono il loro futuro? A scattare la fotografia delle collaboratrici domestiche immigrate è una ricerca svolta dal Cnel, in collaborazione con la Fondazione Silvano Andolfi, presentata in una conferenza stampa.

IL COMUNICATO STAMPA DEL CNELUn’indagine condotta su un
campione di 400 donne provenienti da sette paesi, tutte inserite nel settore domestico: una vera e propria ‘nicchia etnica’, dove la metà dei lavoratori dichiarati all’Inps è costituita da stranieri.

Questi, in sintesi, i principali risultati emersi.

Chi sono e perché sono emigrate le colf Sono donne venute da lontano, le colf straniere presenti in Italia, spinte ad emigrare per bisogno economico (73,5%), ma non sempre per fuggire da una situazione di precarietà estrema.

Spesso, infatti, sono donne con un buon livello di istruzione, che in patria lavoravano e avevano una famiglia.

In particolare, il 46,4% ha fatto studi superiori e il 25,3% è laureata, il 19,4% ha un livello di istruzione medio e l’1,8% addirittura post-laurea; solo il 7,1% non ha alcun titolo.

Nel Paese di origine, il 40,2% faceva l’impiegata, il 14,6% la libera professionista, l’1,8% la dirigente, mentre il 10% era casalinga e il 21,5% disoccupata.

Solo un terzo è nubile a fronte del 41,6% di coniugate e, se più della metà ha meno di 40 anni, una buona percentuale supera questa età (27,3% tra i 41 e i 50, 15,8% oltre i 51).

Nel 56,6% dei casi sapevano che in Italia avrebbero fatto la colf.

Hanno scelto di partire per migliorare la propria condizione, per sé (32,7%) e per aiutare la famiglia e in particolare i figli (66,8%).

Per il 75,1% di esse la vita è cambiata in meglio: una colf mantiene mediamente, con la sua paga italiana, 6-10 membri della famiglia in patria.

Il lavoro Le donne intervistate fanno lavori di collaborazione domestica (pulizie 35,8%) e di cura alla persona, tra cui assistenza agli anziani (26,1%) e baby-sitter (9%); molte, tuttavia, si definiscono “tuttofare” (29,2%).

Per il 90% questo tipo di attività è importante: se prevalgono i motivi economici (58,1%), c’è anche una buona percentuale di donne (31,3%) che la giudica positivamente per ragioni affettive, legate alla cura alla persona.

Complessivamente, al Nord le colf lavorano di più, ma sono rispettate di meno: sono impegnate in media per più di 8 ore al giorno, ma gli straordinari raramente sono pagati.

Si richiede loro una certa “flessibilità e disponibilità”, che a volte fa saltare le giornate di riposo.

Inoltre, sempre al Nord, la malattia non è pagata nel 75% dei casi.

La regolarizzazione Le donne intervistate sono immigrate da molti anni: più di 10 nel 34,6% dei casi, dai 6 ai 10 nel 28,7%, dai 3 ai 5 nel 20,5% e da 2 nel 16,2%.

A vivere da più tempo in Italia sono soprattutto le filippine e le africane.

Il 77% ha una posizione regolare, mentre risulta non in regola il 23%.

La percentuale più alta di irregolari si riscontra tra peruviane e polacche (40%), mentre per i paesi africani è minima o inesistente.

È inoltre irregolare il 68,3% delle donne che risiedono in Italia da 2 anni, il 38,8% di quelle presenti dai 3 ai 5 anni, il 12,6% dai 6 ai 10 anni e solo lo 0,7% delle immigrate da oltre 10 anni.

Le colf nelle famiglie degli italiani Nella maggioranza dei casi (42,4%) le colf straniere, in Italia, vivono presso la famiglia per cui lavorano (in particolare capoverdiane, somale e polacche).

Una sistemazione che all’inizio è sicuramente più facile da reperire: riguarda, infatti, il 61,9% di chi è arrivato da 2 anni.

Mentre abita con i propri famigliari il 34,2% delle intervistate: la percentuale sale al 48,1% dopo 10 anni di permanenza nel nostro Paese, ma è solo del 14,3% per le immigrate da appena 2 anni.

Anche le donne che emigrano sole (69,6%), quindi, si fanno in seguito ‘promotrici’ di ricongiungimenti, riuscendo a costruirsi o a ricostituirsi il proprio nucleo in Italia.

Se le filippine sentono che la famiglia per cui lavorano si fida di loro, le rappresentanti di altre culture vivono in un clima di forte gerarchia e subordinazione.

Diversa era la situazione nei loro Paesi d’origine, dove il rapporto con il datore di lavoro era fiduciario per ben 5 culture delle sette esplorate.

La percezione della famiglia che avevano in patria, infatti, è da molte idealizzata: si rimpiangono valori e modo di vivere e un ambiente dove la gente è più “umana”.

Ma, prima di partire per il “ricco Occidente”, anche l’immagine dell’Italia era quella di un posto dove la vita sarebbe stata “bella, facile e benestante”.

Culture familiari a confronto In Italia, dunque, le colf sembrano trovare una cultura individualistica, ma anche “tipicamente latina”, quindi più espressiva e orientata alla produzione, mentre giudicano le loro culture di provenienza come “comunitarie”, cioè di gruppo e di forte appartenenza.

E’ un’Italia, quella vista dalle colf straniere, che si può permettere di viziare i figli, i quali però non sempre rispettano i propri genitori e in cui gli anziani sono spesso considerati un ‘peso’.

Un’Italia molto libera nell’espressione delle emozioni, ma ipocrita verso estranei e stranieri e dove è ancora la donna a farsi carico del lavoro nella famiglia, anche se sempre più supportata e aiutata dal marito.

Ma le colf vedono, in realtà, diverse “Italie”.

Al Sud prevale un modello familiare caratterizzato da “coabitazioni intergenerazionali”, tanti contatti sociali e aiuto tra i parenti; forte appare l’istituzionalizzazione del matrimonio e ancora incisiva l’influenza dei genitori nelle scelte personali di figli.

Al Nord, invece, si nota più curiosità e apertura (per esempio, si chiedono più informazioni alle colf e c’è maggiore interesse per la loro cultura d’origine), ma è diffusa una cultura del lavoro basata su pianificazione, ordine e disciplina, in cui al lavoratore non si regala niente.

La maggioranza delle colf frequenta nel tempo libero luoghi dove è quasi assoluta la presenza di altri stranieri.

A parte gli incontri con i datori di lavoro, vissuti come rapporti di forte gerarchia, rarissime sono le opportunità di scambio con italiani della stessa età e con interessi simili e questo ostacola una vera integrazione tra le due culture.

Il futuro Ha in progetto di tornare nel proprio Paese solo il 10,8% delle colf, mentre intende stabilirsi in Italia il 14,4%.

E’ indecisa e rimanda nel tempo il 36,2%, rinvia il ritorno per guadagnare più soldi il 21,8% o per sistemare i figli l’11%, mentre vorrebbe emigrare in un altro Paese il 5,9%.

Le donne che vogliono ritornare sono per metà quelle immigrate da più di 10 anni, ma spesso è la loro famiglia a chiedere di restare, rilevando il vantaggio economico che questo porterebbe per tutti i membri.

Infine, il 28,7% delle colf straniere è soddisfatta del lavoro che ha e non desidera cambiarlo, il 24,5% ne preferirebbe un altro qualsiasi, il 17,6% indica un’occupazione specifica, il 16,3% un impiego adeguato agli studi e il 12,9% vorrebbe quello svolto nel Paese di origine.

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