15 GIU 2000

Intervento di Olivier Dupuis sulle libertà fondamentali in Serbia e Kosovo

STRALCIO | - PARLAMENTO EUROPEO - 00:00 Durata: 4 min 36 sec
A cura di Andrea Maori
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La questione dei prigionieri kosovari in Serbia e la proposta di una federazione tra il Kosovo e l'Albania.

Registrazione video di "Intervento di Olivier Dupuis sulle libertà fondamentali in Serbia e Kosovo", registrato a Parlamento Europeo giovedì 15 giugno 2000 alle 00:00.

Sono intervenuti: Olivier Dupuis (parlamentare europeo, Lista Bonino).

Tra gli argomenti discussi: Albania, Arresto, Balcani, Bosnia Erzegovina, Commissione Ue, Consiglio Europeo, Dayton, Guerra, Kosovo, Milosevic, Movimenti, Onu, Parlamento Europeo, Partito Radicale, Schroeder, Serbia, Studenti, Unione Europea.

La
registrazione video ha una durata di 4 minuti.

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  • Olivier Dupuis

    parlamentare europeo (LISTA BONINO)

    FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la presente risoluzione affronta in modo preciso una serie di problemi concreti. Non mi dilungherò a ripeterli in quanto la nostra presidente, onorevole Doris Pack, li ha illustrati meglio di quanto potremmo fare noi. Desidero solamente evidenziare la questione dei prigionieri kosovari, associandomi a quanto già detto dall'onorevole Schroedter. Si tratta di un problema di fondamentale importanza ed è necessario perseverare con le nostre azioni, pur sapendo di non possedere molte armi per far pesare le nostre pressioni sul regime di Belgrado. Chiaramente sussiste anche il problema delle repressioni in corso in Serbia. Confesso tuttavia che, per la prima volta, nutro un certo ottimismo per quanto riguarda l'evoluzione del regime di Belgrado e la possibilità di vederlo crollare in tempi abbastanza brevi. Mi riferisco in particolare al movimento degli studenti, il movimento OTPOR, più o meno clandestino, e a questo riguardo penso che l'accanimento con il quale viene represso e perseguitato dagli sbirri di Milosevic rappresenti un chiaro segno della sua forza. Detto ciò, onorevoli colleghi, penso sia giunto il momento che il Parlamento europeo e anche la Commissione e il Consiglio intraprendano un dibattito - e so che la presidente della nostra delegazione non condivide affatto questo punto di vista - sul futuro status del Kosovo, sul futuro status della Bosnia e, pertanto, anche direttamente su quello della Serbia. L'incertezza che caratterizza oggi lo status definitivo del Kosovo è una fonte di instabilità, di incoraggiamento per gli estremismi di ogni parte e di non sviluppo, poiché tale situazione chiaramente non incentiva gli investimenti stranieri. Vi è un altro fatto cui deve andare tutta la nostra attenzione: la presenza, in un paese con meno di due milioni di abitanti, di oltre cinquantamila occidentali con un livello di vita 10, 15 o 20 volte superiore a quello dei kosovari non può non porre problemi in termini di discriminazione e disuguaglianze, nonché innescare effetti secondari, del resto non sempre tanto secondari, molto importanti e spesso assai delicati, se non addirittura decisamente negativi. Con questo non intendo rimettere in discussione il ruolo della KFOR e delle Nazioni unite in Kosovo, ma un'"occupazione" del Kosovo per molti anni non può essere contemplata senza considerare i grandi rischi cui andremmo incontro. Di conseguenza, è necessario affrontare senza tabù la questione dello status definitivo di ciò che era l'ex Jugoslavia. A sei anni di distanza dalla firma degli accordi di Dayton, che risale al 1995, con una Bosnia che non è più un paese in cui le cose funzionano bene, con una Bosnia composta da due o anzi tre entità, dobbiamo mettere in chiaro tutti questi problemi; è necessario che la Commissione e il Consiglio ci propongano mezzi per superare queste situazioni che sono state concepite come transitorie. Bisogna che ci propongano delle vie d'uscita per creare le condizioni a partire dalle quali sarà poi possibile immaginare l'integrazione di questi paesi in seno all'Unione europea. In particolare, ritengo che non si possa scartare l'idea di una federazione tra il Kosovo e l'Albania, né tanto meno evitare un ravvicinamento tra certe parti della Bosnia e la Serbia. È il risultato di una politica che sicuramente non è stata voluta da noi radicali, ma dalla comunità internazionale, e noi non possiamo più chiudere gli occhi di fronte a questa situazione.
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