04 GIU 2002

«Le politiche del lavoro»: Presentazione del libro di Tiziano Treu (con D'Amato, Letta e Amato)

[NON DEFINITO] | - 00:00 Durata: 1 ora 46 min

Questa registrazione non è ancora stata digitalizzata.
Per le risposte alle domande frequenti puoi leggere le FAQ.

Amato condanna il semplicismo dei sindacati sull'art.18 e l'irresponsabilità degli industriali.

D'Amato risponde rimproverando la classe politica che non ha ancora realizzato le riforme Roma, 4 giugno 2002 - Sull'articolo 18 è stata scatenata "una tempesta ridicola".

Questa la convinzione dell'ex presidente del Consiglio Giuliano Amato, che è intervenuto alla presentazione del libro di Tiziano Treu "Le politiche del lavoro".

Basta con l'art.18 "Piantiamola lì con l'art.18 - esorta Amato - e occupiamoci dell'insieme del sistema del mercato del lavoro".

Poi un suggerimento: "Come è accaduto
per gli anni Sessanta con la parola programmazione, che fu abolita per 6 mesi, propongo di fare lo stesso per adesso sull'art.18".

Secondo il vice presidente della Convenzione Europea "nessun economista al mondo ritiene l'art.18 sia elemento fondamentale per la flessibilità.

E rattrista pensare che il paese sia finito a discutere solo di questo".

Il semplicismo del sindacato L'unilateralizzazione del dibattito sull'articolo 18 ha fatto perdere di vista altri temi fondamentali sui quali si gioca la competività del sistema Italia.

Sistema che "paga un'amministrazione non efficiente, strozzature sui mercati, a cominciare da quelle distributive dei trasporti, un mercato finanziario a compartimenti e la mancanza di venture capital." Amato quindi condanna il "semplicismo" che ha portato al centro della discussione solo il tema della flessibilità in uscita.

"Al di là dell'uso e dell'abuso delle parole diritti e dignità, ormai si è arrivati al punto che quando si parla di diritti, ci si mette di traverso anche sulla strada della flessibilità".

Le responsabilità degli imprenditori Gli industriali da parte loro hanno altrettante responsabilità.

"Vorrei - afferma Amato - che gli imprenditori si dichiarassero disponibili ad attuare un sistema che rendesse più difficile comprare la pelliccia all'amante o alla moglie con gli utili d'impresa".

Invece essi hanno accettato "senza colpo ferire la disciplina del falso in bilancio che ha tolto trasparenza ai conti''.

Piacerebbe ad Amato "vedere un'impresa che dicesse: siamo contrari a tutto questo".

"Mi chiedo anche perché si continui a farsi prestare i soldi dalle banche - conclude ironicamente Amato - anziché andare sul mercato o si liquidi Telecom per comprarsi due Bentley in più".

Fare le riforme L'art.

18 "è solo un pezzo della riforma del mercato del lavoro, anche se è un pezzo significativo", conferma il presidente degli industriali Antonio D'Amato, dando ragione all'ex presidente del Consiglio.

"Certo non è l'insieme delle riforme, ma è una pietra di un arco di un ponte che stiamo costruendo, ed è la risposta da dare ai giovani, agli emarginati, ai disoccupati".

Al governo in carica D'Amato chiede "di fare le riforme perché proseguire su questa strada è fondamentale e indispensabile".

Farle "con il consenso è ancora più importante, ma il consenso non può tradursi in un veto".

D'Amato giudica inoltre un errore il fatto la Cgil non partecipi al tavolo, ma si dice "contento e ottimista che venerdì si sia voltato l'angolo, con l'apertura di 4 tavoli, con la definizione di tempi certi su argomenti fondamentali".

Una forte alleanza Quello che serve adesso - aggiunge D'Amato - "è un salto di qualità, mentre la trappola per i riformisti è quella di cadere nelle vecchie ideologie, del partito, del movimento, della fazione, di cadere nella logica degli schieramenti e di perdere il coraggio di mettersi in gioco".

In questo senso "è necessaria una forte alleanza sulle riforme vere e aprire una stagione di cambiamento, che per il nostro paese è irrinunciabile".

Relativamente alle accuse dell'ex presidente del consiglio, il leader degli industriali ribadisce che gli usi di cui parla Amato "appartengono ad un capitalismo datato ed oggi non ci sono più quei vecchi capitalisti".

Piuttosto è stata la politica a lasciare sola l'impresa nelle grandi battaglie riformiste.

"Confindustria - conclude D'Amato - ha aperto tavoli importanti, dalla corporate governance al sommerso, alla catena di controllo delle società' quotate".

Il problema italiano però è che le riforme alla fine "bisogna farle".

leggi tutto

riduci