31 LUG 2002

Lavoro: Dibattito a Radio Radicale con Daniele Capezzone e Antonio Pizzinato

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La rissa sull’art.18 impedisce di affrontare le questioni fondamentali quali la riforma delle pensioni e il rispetto degli obblighi presi a LisbonaRoma, 31 luglio 2002 – Radio Radicale ha ospitato un dibattito sui temi del lavoro a cui hanno partecipato Daniele Capezzone, segretario di Radicali Italiani ed Antonio Pizzinato, senatore dei Democratici di Sinistra, ex segretario della Cgil.

In studio Alessio Falconio.“In Italia si è scatenata una rissa su questioni non consistenti”.

Daniele Capezzone, con queste parole commenta lo scontro tra le forze politiche sul tema dell’art.18, e
ricorda che rimane del tutto trascurata una questione di primaria importanza.

“Poche settimane fa – afferma il segretario di RI – l’Italia ha sottoscritto a Lisbona un accordo che sarà una nuova Maastricht, e anche il nostro paese sarà impegnato entro il 2010 a portare il proprio tasso di occupazione al 70%”.Gli impegni presi a Lisbona Per conseguire questo traguardo, sottolinea Capezzone, occorre “realizzare 5 milioni di posti di lavoro”.

Vale a dire “600 mila posti di lavoro per otto anni consecutivi”.

Tuttavia nel 2001, che è stato un anno non negativo per l’economia italiana “sono stati creati 360 mila posti di lavoro”, il che significa “che sarà necessario quasi raddoppiare la nostra migliore performance” e mantenere lo stesso passo per i prossimi otto anni.“Cosa c’entra dunque la disputa sull’art.18 – si chiede Capezzone – quando si tratta di agire in modo strutturale sulle pensioni? Se parliamo di cose serie, occorre adottare quelle riforme che hanno funzionato nel resto dell’Unione Europea”.Tutele e flessibilitàTra l’altro nel resto dei paesi membri dell’Ue “l’obbligo di reintegro non c’è”.

Sull’art.18 “si dice che vengono meno le tutele contro le discriminazioni”, ma una sua eventuale modifica non significa certamente “l’annullamento di tutte le norme esistenti che tutelano i diritti dei lavoratori”.Antonio Pizzinato, da parte sua ribadisce che la norma sull’obbligo di reintegro “è materia non discutibile”.

E riporta una serie di dati a fondamento delle sue affermazioni.

I licenziati in Italia “per rappresaglia politica sindacale” dal 1946 al 1966 furono 36mila nelle aziende private, nei ministeri e nelle aziende pubbliche 5 mila, e il sindacato “ha penato fino al gennaio 2001 per consentire a questi lavoratori di ricostruire le loro posizioni previdenziali”.Si tratta dunque – secondo Pizzinato - di questioni che solo marginalmente riguardano la flessibilità, ma che possono riaprire la possibilità che si ripetano “molestie nei confronti delle persone” sul posto di lavoro.La verità sul sindacatoCapezzone invita Pizzinato ad “aprire una stagione di verità sul sindacato”, un soggetto “che vive come associazione non riconosciuta e senza alcun bilancio”, che tra l’altro impone riforme ai governi che si trovano “a trattare con la logica della concertazione, che riduce le istituzioni a camere di ratifica”.“Lo statuto della Cgil prevede bilanci pubblici e pubblicizzati – afferma Pizzinato - i volumi sono in parlamento, li ho portati io”.

Quando inoltre “si discusse di contratto di lavoro anche per il personale dei sindacati, alla Cgil andai in minoranza da segretario”.Una battaglia di retroguardiaLe rappresentanze confederali non possono non vedere “il calo del consenso che registra il sindacato”, conclude Daniele Capezzone, che ricorda come negli ultimi anni “la sinistra esprima politiche di conservazione”, mentre il “sindacato non rappresenta in alcun modo i lavoratori sottooccupati e chi è fuori dal mondo del lavoro”, rimanendo inchiodato “a una battaglia di retroguardia”, che riguarda lavoratori che hanno maturato una qualche forma di privilegio vista come irrinunciabile.

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  • Pizzinato, sulla discussione sull'art.18

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  • Capezzone, sull'accordo di Lisbona e la situazione italiana

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