04 OTT 2009
rubriche

Conversazione settimanale con Marco Pannella. Ospite in studio Giacomo Marramao

RUBRICA | di Massimo Bordin - Radio - 17:05 Durata: 1 ora 52 min
A cura di Enrica Izzo e Pantheon
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Ospite della puntata: Giacomo Marramao, ordinario di Filosofia Politica e Teorica presso l'Università Roma Tre.

Puntata di "Conversazione settimanale con Marco Pannella. Ospite in studio Giacomo Marramao" di domenica 4 ottobre 2009 condotta da Massimo Bordin che in questa puntata ha ospitato Massimo Bordin (direttore di Radio Radicale), Giacomo Marramao (ordinario di Filosofia Politica e Teorica, direttore scientifico della Fondazione Basso-Issoco), Marco Pannella (presidente del Senato del Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito, Partito Radicale Nonviolento
Transnazionale e Transpartito).

Sono stati discussi i seguenti argomenti: Politica, Radicali Italiani.

La registrazione video di questa puntata ha una durata di 1 ora e 52 minuti.

La rubrica e' disponibile anche in versione audio.

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  • Introduzione

    Massimo Bordin

    direttore di Radio Radicale

    Nel fine settimana si è tenuto il Comitato nazionale di Radicali Italiani. Ospite della conversazione è il professore Giacomo Marramao, filosofo, storico della filosofia, da sempre politicamente impegnato a sinistra
    17:05 Durata: 1 min 6 sec
  • Marramao: Scrissi che le elezioni del 1979 avevano segnato in Italia l’irruzione della ‘società radicale’, cioè di una società in cui le dinamiche di aggregazione sociale non erano più rigide ma trasversali. I conflitti non erano più i tradizionali conflitti sociali fatti da blocchi sociali precostituiti ma viceversa delle dinamiche conflittuali orientate per ‘issues’. La l'evoluzione del Pci, anziché aprirsi alla società, ha invece determinato un tasso sempre più elevato di autoreferenzialità del ceto politico

    Marco Pannella

    presidente del Senato del Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito (PRNTT)

    Giacomo Marramao

    ordinario di Filosofia Politica e Teorica, direttore scientifico della Fondazione Basso-Issoco

    La fase politica attuale, dopo i grandi rivolgimenti prospettati a inizio anni ‘90. Marramao: La storia da lei sinteticamente riassunta sta a dimostrare che la storia non va avanti lungo una tratta unica, lineare e necessitata, ma va avanti per biforcazioni. In quella fase che si situava a cavallo tra fine anni ’80 e inizio anni ’90 sarebbe stato necessario a mio avviso prendere una serie di decisioni, imboccare una strada che ahimè non è stata imboccata. Era la strada del ricondurre i partiti al loro alveo costituzionale, cioè di fattori, di soggetti che dovevano operare all’interno della società e non dovevano necessariamente occupare o colonizzare gli spazi istituzionali, che viceversa dovevano restare spazi fruibili da tutti, spazi di servizio e improntati a regole certe. In quella fase ci coagulammo - intellettuali, politici ed esponenti della società civile di diversa formazione ma che si ritrovavano nel comune denominatore di questa esigenza, di una politica che finalmente si aprisse a dinamiche sociali, che erano dinamiche di cambiamento radicale. Io ricordo che, nel 1979, dopo le elezioni scrissi un articolo sul ‘Contemporaneo’ inserto culturale di Rinascita, che a quell’epoca arrivava a vendere anche 100.000 copie, e scrissi che le elezioni del 1979 avevano segnato in Italia l’irruzione della ‘società radicale’, cioè di una società in cui le dinamiche di aggregazione sociale non erano più rigide ma trasversali. I conflitti non erano più i tradizionali conflitti sociali fatti da blocchi sociali precostituiti ma viceversa delle dinamiche conflittuali orientate per ‘issues’, attorno a temi salienti che indicavano delle emergenze, quindi dei temi che emergevano dalle dinamiche del cambiamento della società: era la dinamica ambientale, erano le dinamiche che già allora individuavamo come legate alle questioni del corpo, delle relazioni tra i sessi, che dopo sarebbero state chiamate ‘biotiche’, ‘biopolitiche’ e via dicendo. Non è stato così. Anche il cambio del nome del Pci, in ‘Partito democratico della Sinistra’ e poi in ‘Democratici di Sinistra’, non ha funzionato nella direzione auspicata. Anziché aprirsi alla società, anziché determinare una quota più ampia di partecipazione di soggetti che vivevano nelle forme di vita effettiva, nell’esperienza quotidiana, ha invece determinato un tasso sempre più elevato di autoreferenzialità del ceto politico, che ha pensato solamente a mantenere le proprie situazioni e a salvaguardarle. Secondo Bordin, l’inserto ‘Contemporaneo’ del ’79 era la risposta del Pci al successo radicale alle elezioni radicali della primavera del 79. Pannella: Il ricordo del tuo intervento mi ha richiamato un altro intervento pertinente al tema, ed è quello di Pietro Ingrao che, subito dopo quel 1979, a una riunione del Comitato per la Riforma dello Stato, disse: ‘Ma mica vogliamo lasciare tutto il nuovo - l’ambiente, la riforma - a Pannella e ai Radicali?’. Lui era stato Presidente del Parlamento quando noi eravamo entrati nel 1976, e noi avevamo un po’ marcato politicamente il periodo, con i referendum e tutto quello che stava accadendo
    17:06 Durata: 8 min 53 sec
  • Pannella sulla figura di Salvemini: Lo ritengo più preveggente degli intellettuali socialisti, democratici italiani. Quando la guerra del ’15-’18 non era ancora finita, lui rompe con il Partito Socialista ed il sindacato perché denuncia l'alleanza spuria industrialista tra le aristocrazie operaie e l’industria familiare. Marramao: Salvemini sicuramente ha avuto una notevolissima dote che è stata quella della preveggenza, cioè ha colto nel disegno del ‘blocco storico’ italiano quella che tu chiamavi giustamente l’alleanza industrialista. La logica italiana non è mai stata veramente una logica espansiva (), le élite nazionali italiane sono state figlie di blocchi corporativi

    Giacomo Marramao

    ordinario di Filosofia Politica e Teorica, direttore scientifico della Fondazione Basso-Issoco

    Marco Pannella

    presidente del Senato del Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito (PRNTT)

    Pannella: A Marramao, d’urgenza, dico: sappiamo quali sono stati i testi della sinistra e delle sue varie componenti. Personalmente continuo a ripetere come un salmo ‘Salvemini, Salvemini, Salvemini’, perché lo ritengo più preveggente degli intellettuali socialisti, democratici italiani. Quando la guerra del ’15-’18 non era ancora finita, lui rompe con il Partito Socialista ed il sindacato perché denuncia questa alleanza spuria industrialista tra le aristocrazie operaie e l’industria familiare che si affermava. Personalmente ritengo che () così come su un piano più attuale, per i socialisti c’è un altro nome che è sempre nell’armadio - quello di Loris Fortuna -, dall’altra continua - anche a livello della riflessione storica-ideologica - ad essere quella di Salvemini, una presenza che gli consente di arrivare all’inizio degli anni ‘50 con una freschezza di proposte pratiche (ricordo sempre con malizia che Laterza mandò al macero e non pubblicò mai il libro che Salvemini aveva scritto allora a difesa della cosiddetta ‘Legge Truffa’). Un libro che tra l’altro vedeva l’innesto, in quella tradizione socialista, di quella di sinistra liberale e azionista. Il mancato successo di quell’innesto credo possa spiegare molto del rovinoso presente che da allora si è succeduto nel nostro Paese. Marramao: Quello che Marco dice fa parte anche delle fibre più intime della mia formazione. Lui ha iniziato citando Pietro Ingrao e malgrado i dissensi che possiamo avere sulle posizioni da lui via via assunte, Ingrao si è rivelato in buona parte una figura di ‘comunista libertario’ che ha sempre cercato di cogliere il segno dei tempi. Pannella: Il che però è poco libertario. Marramao: Però lui i segni dei tempi li coglieva anche nella direzione di una esigenza di allargamento delle tematiche classiche della lotta di classe ai temi della vita, delle relazioni uomo-donna, delle tematiche ambientali. Certo, il Pietro Ingrao degli anni ’56 è fortemente caratterizzato nel senso della tradizione comunista italiana più classica; ma io lo dissi anche ad Achille Occhetto, cioè la maniera in cui lui fece la svolta - senza curarsi di coinvolgere alcune figure che potevano essere sensibili al nuovo, e pensavo in particolare ad Ingrao - ha segnato in profondità anche ciò che è venuto dopo. Perché i leader successivi hanno inteso quella come una forma di modernizzazione, di aggiornamento, come dire ‘un disincanto piatto’, come se la modernità non fosse anche un ‘di più’ di passioni, un ‘di più’ di etica, e non soltanto della responsabilità, come se la modernità non sia anche un ‘di più’ di ethos (e non dico di valori, perché questo concetto è abusato). Un pathos che rimane, che dimostra ancora come sia una balla il fatto che in politica ci si debba aprire alla giovinezza in senso anagrafico: la giovinezza è legata alla capacità di produrre idee creative, di cogliere il nuovo che emerge nella società. Io credo che Pietro, nonostante i suoi 93 anni, è un giovane, è aperto al nuovo che sta accadendo, non si limita a fare il notaio del passato. L’altro aspetto che tu indicavi era Salvemini. Ma certo, io ho studiato a Firenze sotto la guida di Eugenio Garin e di altri; intendiamoci, per un aspetto Garin è stato anche un mandarino togliattiano, ma per altri versi era un intellettuale della sinistra che non dimenticava il rapporto con questa grande tradizione laica che va da Salvemini ai fratelli Rosselli, che va addirittura anche a Gobetti e vari altri. Salvemini sicuramente ha avuto una notevolissima dote che è stata quella della preveggenza, cioè ha colto nel disegno del ‘blocco storico’ italiano quella che tu chiamavi giustamente l’alleanza industrialista. La logica italiana non è mai stata veramente una logica espansiva (), le élite nazionali italiane sono state figlie di blocchi corporativi. E se dovessi indicare qual è il limite della politica italiana, è stato proprio il limite di un corporativismo trasversale. Che è stato spezzato in alcuni momenti, che sembravano segnare un cambiamento profondo della storia nazionale: penso alla stagione referendaria, in cui rientra Loris Fortuna e anche un comunista eretico, libertario, come Terracini. Dentro l’establishment politico italiano, e qui Marco mi riferisco anche alla tua storia, non si è mai riflettuto sul valore dell’eresia. Il significato fecondo e produttivo dell’imperativo eretico, del desiderio di spezzare gli schemi per far fare alla storia un salto di qualità. Lo avevamo fatto con la stagione referendaria. Io ricordo che ero appena rientrato in quel periodo dalla Germania; io sono arrivato giovanissimo a Francoforte e ci sono rimasto fino alla metà degli anni 70. È stato un periodo molto bello: la Scuola ha rafforzato in me la componente critica, aperta, anche multi-disciplinare, ha significato per me anche la conoscenza di una serie di personaggi poi divenuti importanti. Non parlo soltanto dei filosofi, ma anche di figure come Daniel Cohn-Bendit e Joschka Fischer che allora vivevano nella stessa comune
    17:15 Durata: 13 min 57 sec
  • Pannella: Io individuo nel regime italiano quello che devo, in parte cospicua, a Salvemini. Noi abbiamo avuto, con il fascismo, il welfare contro la libertà. Nella partitocrazia abbiamo avuto il welfare non universalistico, corporativo e via dicendo, che è la cifra di quello che avviene oggi. Siamo nel pieno di una realtà in cui l’Italia, come successo con il fascismo - un piccolo paese agricolo che dona al mondo il fascismo -, oggi noi doniamo la peste italiana all’Europa, e l’unica resistenza la troviamo per il momento nel mondo anglosassone

    Marco Pannella

    presidente del Senato del Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito (PRNTT)

    Giacomo Marramao

    ordinario di Filosofia Politica e Teorica, direttore scientifico della Fondazione Basso-Issoco

    Il trasversalismo delle élite e la figura di Salvemini. Marramao: I giovani che fanno i blog dovrebbero imparare che quelli che vengono spesso ritenuti reperti archeologici, sono destinati - quando sono grandi reperti - a ritornare, a riattualizzarsi. Pannella: Invece loro per ora sono grillini. Marramao: Bravo, sono grillini! Vanno un po’ sul facile, sono dei surfisti della storia. Io tra l’altro nei miei lavori ho spiegato che il presente non sempre coincide con il rumore dell’attualità. Bisogna stare attenti, perché chi è intontito dal rumore dell’attualità, spesse volte è colto di sorpresa dall’irrompere di alcuni eventi. Intanto i giovani dovrebbero sapere che Gramsci è un autore poco studiato oggi in Italia, ma studiatissimo nel mondo, in particolare se uno si va a guardare i più sofisticati intellettuali post-coloniali che operano nelle principali università statunitensi, a partire dal compianto Edward Said, al mio amico Homi K. Bhabha di Harvard, a Appadurai e Gayatri Spivak della Columbia, sono dei grandi intellettuali, tradotti in tutto il mondo, che hanno riscoperto il tema delle classi subalterne di Gramsci, soltanto che lo proiettano ovviamente nel mondo globalizzato. Ovviamente lì possiamo individuare anche i limiti dell’analisi gramsciana. Chi vi parla era da ragazzo un marxista libertario radicale, anti-gramsciano. Ho iniziato con un saggio infuocato su Quaderni Piacentini che si intitolava ‘Per la critica dell’ideologia di Gramsci’. Poi mi sono reso conto che era una aggressività giovanile che mi portava a critica re Gramsci in modo così demolitorio. Era una reazione giovanile, molto radicale, a quello che veniva chiamato allora il ‘Gramsci di tutti’, il Gramsci ecumenico, il Gramsci santo, il Gramsci che non si poteva toccare. Detto questo, è evidente che Salvemini - riguardo all’analisi del meridione italiano, del tema dei partiti in Italia - ha una capacità di previsione forse anche maggiore di quella di Gramsci, che a mio parere è viceversa utile per capire in termini più generali (e per questo Gramsci sopravvive a se stesso) la maniera complessa in cui si riorganizza il potere nel mondo occidentale. Gli intellettuali nella riflessione di Gramsci: Un tempo un’organizzazione che poteva essere Gentile con l’Enciclopedia italiana, oggi invece è un’organizzazione degli intellettuali che riguarda per un verso gli intellettuali cooptati dagli staff dei gruppi dirigenti dei partiti, per altro verso riguarda gli intellettuali che sono diventati operatori dei grandi mezzi di informazione. E siamo qui nel vivo di quello che Marco chiama il regime. Pannella: Io parlo del sessantennio partitocratico, dicendo che noi abbiamo avuto un ventennio partitocratico-fascista, poi abbiamo un sessantennio partitocratico-antifascista. Io cito spesso in questa fase la metamorfosi del male di Hannah Arendt; credo sia una spiegazione suggestiva ma anche scientifica di quanto accaduto. A una recente commemorazione di Riccardo Lombardi, ho detto che mi rendo conto oggi di come tutti gli ex azionisti, sinistra liberale, etc., tra tutti questi c’era un senso di dolore profondo, come di una cosa irreparabile che avevano previsto e non erano riusciti ad impedire. Ed era la continuità formale del regime, la scelta del sistema continentale europeo e non quello anglosassone. Io individuo nel regime italiano quello che devo, in parte cospicua, a Salvemini. Noi abbiamo avuto, con il fascismo, il welfare contro la libertà. Nella partitocrazia abbiamo avuto il welfare non universalistico, corporativo e via dicendo, che è la cifra di quello che avviene oggi. Siamo nel pieno di una realtà in cui l’Italia, come successo con il fascismo - un piccolo paese agricolo che dona al mondo il fascismo -, oggi noi doniamo la peste italiana all’Europa, e l’unica resistenza la troviamo per il momento nel mondo anglosassone. Continua ad essere attualissima una affermazione di uno storico, perché per me allora era tale; quando Don Benedetto sottolineò in modo costante questo rischio, che la realtà italiana continua a produrre contro-riforme senza aver prodotto la Riforma. L’eccezione del socialista Brodolini e del suo Statuto dei lavoratori, non rivolto solo al ceto operaio
    17:29 Durata: 15 min 24 sec
  • Marramao e la classe dirigente del Pci ai tempi del rapimento di Moro: Allora io ed altri abbiamo dato battaglia, perché fu una cosa orrenda. Noi dicevamo che lì doveva valere un imperativo categorico: liberare Moro a qualunque condizione. Pannella: Ma loro avevano la ragion di Stato invece che il senso dello Stato. E’ quello che rimprovero oggi a Massimo D’Alema: hanno la ragion di Stato - al posto della ragion di Partito, perché il Partito gli si è liquefatto tra le mani - e niente senso dello Stato

    Giacomo Marramao

    ordinario di Filosofia Politica e Teorica, direttore scientifico della Fondazione Basso-Issoco

    Marco Pannella

    presidente del Senato del Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito (PRNTT)

    Pietro Ingrao nel ’56, nel ’76 e il gruppo dirigente del Pci al tempo del rapimento Moro. Pannella: E i decreti Cossiga furono una cosa immensa rispetto alle tragiche coglionerie di Berlusconi. Marramao: Ma allora io ed altri abbiamo dato battaglia, perché fu una cosa orrenda. Noi dicevamo che lì doveva valere un imperativo categorico: liberare Moro a qualunque condizione. Pannella: Ma loro avevano la ragion di Stato invece che il senso dello Stato. E’ quello che rimprovero oggi a Massimo D’Alema: hanno la ragion di Stato - al posto della ragion di Partito, perché il Partito gli si è liquefatto tra le mani - e niente senso dello Stato. E infatti non c’è stato mai un solo momento di dibattito intellettuale nel segnalare che a un certo punto lo Stato di diritto cessava di essere ‘l’inganno di classe della borghesia’. Mai! Per loro, dall’oggi al domani, i valori diventano lo Stato di diritto e la democrazia. Non c’è mai stato un momento di presa di coscienza vera della drammaticità dello sviluppo storico. E se rinuncia a vedere la drammaticità, come sempre crei la tragedia. Tornando a Salvemini, oggi negli scontri tra il Ministro del Lavoro, Ichino, gli altri, etc., c’è questo argomento: ‘Non si fanno riforme nei momenti di crisi’. Ma se non le fai nei momenti di crisi allora non potrai mai farle. E in questo la lettura di Salvemini era semplice. Lui diceva: ‘Arriveremo alla corporazione industrialista’, e quindi addio ai contadini, ma anche addio agli intellettuali gramscianamente intesi. Perché al di là dell’intellettuale organico, io dico che noi siamo debitori a Gramsci di una nozione che non a caso è stata abbandonata, che è quella dell’intellettuale collettivo. Lo chiedo al direttore scientifico della Fondazione Basso: quando, indipendentemente dal pregevole lavoro che fa la Fondazione Salvemini, possiamo assistere a una rivalutazione della storia italiana nella sua ricchezza? Togliendo Salvemini è come togliere Murri e Sturzo per un altro verso. Quando parlo di ‘regime’, la nostra sembra una lettura estremista; e invece come sosteneva Salvemini, noi abbiamo avuto il welfare senza libertà e poi abbiamo avuto il welfare corporativista del ceto operaio, con gli ammortizzatori sociali che sono serviti solo a nutrire grandi industrie fuori corso internazionale
    17:44 Durata: 6 min 55 sec
  • Marramao: Il tema più vitale di Lelio Basso è che la sinistra ha sempre considerato i ‘diritti’ come una ‘sovrastruttura’, invece essi sono un fattore materiale straordinario di cambiamento. Il problema è che non vorrei ci fosse qui un gioco a somma zero tra diritti civili e diritti sociali. Il precariato è qualcosa di grave proprio perché strumento della politica della paura. E qui penso che dovremmo fare insieme una battaglia, con uno slogan semplice: il diritto al lavoro - non al posto - è un diritto umano fondamentale

    Marco Pannella

    presidente del Senato del Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito (PRNTT)

    Giacomo Marramao

    ordinario di Filosofia Politica e Teorica, direttore scientifico della Fondazione Basso-Issoco

    L’evoluzione dei diritti del lavoro e la scarsa comprensione della loro evoluzione a sinistra. Pannella: In realtà sembra che l’hanno capito, perché li usano contro Berlusconi. Dai precari, le cose Li usano oggi strumentalmente contro il prodotto del loro regime. Perché Berlusconi è innanzitutto questo. Pensare che egli sia un genio del male, vuol dire non capire nulla della realtà italiana. Marramao: Io qui la formula che adopererei è quella di riportare la storia della classe operaia dal cielo sulla terra. Andare a vedere cosa effettivamente è accaduto all’interno della classe operaia italiana, non utilizzare la categoria di classe opera in maniera metaforica e poi alla fine strumentale. Ricordo Edward Thompson, grande storico inglese che fu ospite negli anni 70 della Fondazione Basso e autore di uno straordinario libro che si intitolava: ‘The making of working-class in England’, dove faceva vedere come individui che provenivano dalle storie familiari e sociali più diverse, a volta anche dalle culture più diverse, piano piano si ritrovavano all’interno della condizione di fabbrica e costituivano una coscienza comune. Ma lo faceva vedere anche in modo empirico. Oggi noi assistiamo a un fenomeno opposto: come l’attuale processo economico sia un processo che disaggrega la classe operaia indigena, e come si riaggreghi una classe operaia di altro genere che è in larga parte multinazionale. Mancano analisi di questo processo di disgregazione e riaggregazione. L’aspetto culturale-antropologico gioca un ruolo determinante, per determinare anche la coscienza soggettiva. Jean Paul Sartre diceva che il male della sinistra di classe consiste nell’insistere nell’alibi dell’oggettività e non spostare mai il fuoco sui soggetti, sulle coscienze. Questo mi pare un punto molto importante. Se caliamo questo nella dimensione della storia nazionale, abbiamo due fenomeni. Uno lo indicava Marco benissimo: noi abbiamo nella nostra storia nazionale, prima l’età giolittiana - in larga parte una occasione mancata -, poi la guerra e il fascismo - con il fascismo abbiamo un welfare contro la libertà, però un welfare -, e poi con la prima fase repubblicana abbiamo avuto un welfare non universalistico. In passato dissi che il problema d’Italia era la drammatica divisione che avevamo tra insider e outsider. Cofferati mi disse: questo rischia di essere uno strumento facilmente strumentalizzabile. E io dissi: ‘No, o lo usiamo noi, o sarà utilizzato da altri’. Il problema che voglio affrontare è che voi avete fatto delle lotte importantissime, oltre che dei dibattiti, sul tema dei diritti. Noi abbiamo insistito molto in Fondazione Basso, prendendo un tema di Basso e curvandolo verso l’attualità: il tema più vitale di Lelio Basso è che la sinistra ha sempre considerato i ‘diritti’ come una ‘sovrastruttura’, invece essi sono un fattore materiale straordinario di cambiamento. Il problema è che non vorrei ci fosse qui un gioco a somma zero tra diritti civili e diritti sociali. Il precariato è qualcosa di grave proprio perché strumento della politica della paura. E qui penso che dovremmo fare insieme una battaglia, con uno slogan semplice: il diritto al lavoro - non al posto - è un diritto umano fondamentale. Se tu togli a un essere umano la possibilità di lavorare, allora è chiaro che quell’essere umano è un’esistenza ricattabile. L’idea di Pannella sul diritto al lavoro e la questione dell’età pensionabile. Marramao: E’ vero che ci sono attività estremamente logoranti, però è del tutto evidente che il problema dell’età pensionabile è problema che va affrontato in modo serio
    17:51 Durata: 14 min 10 sec
  • Marramao: Quindi garantire la mobilità delle persone è fondamentale. Io uso il termine meno pregiudicato di ‘duttilità’; le persone devono essere duttili, ma lo dico anche ai miei studenti. Io sono per una società del merito, ma non del merito e basta, perché il merito non è un dato di fatto naturale. Sono per una società che coniughi i meriti con la capacità che la società e la politica devono avere di svolgere un ruolo promozionale rispetto agli individui, di motivarli

    Marco Pannella

    presidente del Senato del Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito (PRNTT)

    Giacomo Marramao

    ordinario di Filosofia Politica e Teorica, direttore scientifico della Fondazione Basso-Issoco

    Il diritto al lavoro come diritto umano fondamentale. I ‘diritti umani’ sollevati da Cofferati come tema di ‘maggiore pathos’ nello scontro politico sull’articolo 18. L’idea del posto fisso. Marramao: La sinistra risponde con una logica oggi più ingessata di quanto non fosse negli anni Settanta. Io dico sempre, per fare un discorso più terra-terra, che non c’è nulla di male se la società ti dice: ‘Guarda, ti abbiamo messo alla prova in questo tipo di lavoro, ma non è adatto a te e devi farne un altro’. Quindi garantire la mobilità delle persone è fondamentale. Io uso il termine meno pregiudicato di ‘duttilità’; le persone devono essere duttili, ma lo dico anche ai miei studenti. Io sono per una società del merito, ma non del merito e basta, perché il merito non è un dato di fatto naturale. Sono per una società che coniughi non soltanto - come diceva Claudio Martelli all’epoca del dibattito tra i socialisti - meriti e bisogni, non è soltanto quello, ma si tratta di incrociare i meriti con la capacità che la società e la politica devono avere di svolgere un ruolo promozionale rispetto agli individui, di motivarli. Pannella: Noi cerchiamo di praticarla questa cosa, poi a un certo punto accade che se tu aiuti qualcuno a mettere in valore il proprio talento, nel 90 per cento dei casi lo scambia con i talenti. Marramao: Io non sono un popperiano, e non amo la distinzione tra società aperta e società chiusa, ma diciamo che in una società aperta è un rischio da correre, che la persona di talento si venda. Pannella: Ma che si svenda. Marramao: Lo sai meglio di me, non possiamo dare la ricetta della felicità. E questo è il corollario che ci accomuna: io sono sostenitore della necessità di passare da una visione continentale a una visione oceanica della democrazia, che promuove la libertà di ricerca della felicità
    18:05 Durata: 9 min 22 sec
  • Marramao: A partire dagli anni ’80, ho battuto molto su un altro tipo di passione, che è quella weberiana del disincanto. Adesso ho l’impressione che se continuiamo a battere sul tasto del disincanto, non facciamo altro che compiere una ulteriore apologia dell’esistente. I nostri politici sono fin troppo disincantati, ai limiti quasi del cinismo; io ritengo che è venuto il momento di parlare della necessità di reincantare la politica. Pannella: Ma il nostro popolo è incantato da Welby, da Luca Coscioni per quanto lo conosce, è incantato da queste realtà. Dopo un sessantennio, c’è un divorzio assoluto tra i valori che emergono dal popolo e la partitocrazia dominante. Per questo parlo di assenza di democrazia.

    Marco Pannella

    presidente del Senato del Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito (PRNTT)

    Giacomo Marramao

    ordinario di Filosofia Politica e Teorica, direttore scientifico della Fondazione Basso-Issoco

    Il Partito Democratico. Marramao: Io sono personalmente deluso da quello che sta accadendo all’interno del Partito Democratico. Ero molto galvanizzato dalla prima parte della campagna elettorale di Walter Veltroni, però a partire dalla seconda parte della campagna - soprattutto l'accentuazione dell’autosufficienza - non mi è piaciuta. Non che volessi nostalgicamente riproporre il frontismo o l’Ulivo, però ogni dichiarazione di autosufficienza in democrazia è molto rischiosa, soprattutto quando poi questa non-autosufficienza si è dimostrata appoggiandosi a un alleato rivelatosi scomodo come Di Pietro. Pannella: Intendi Berlusconi? Pensavo dicessi l’alleanza vera, quella per cui si massacrano le leggi elettorali e si fanno perdere i diritti politici a gran parte degli italiani. Marramao: Il Pd non si è aperto sufficientemente alla società, e quando parlo di ‘società’ intendo non soltanto i bisogni, ma anche i saperi sociali. La società non è soltanto una massa di bisogni, o - per citare una battuta spiritosa del Presidente emerito Cossiga su Berlusconi - ‘lui vede davanti a sé non cittadini e neanche popolo, ma la folla’. La società è fatta di persone che sanno. Pannella: E’ per questo che non ne vogliono sentire parlare! Marramao: Io non vedo nei programmi dei tre candidati alla segreteria del Pd un qualcosa che mi entusiasmi. Qui devo fare un’autocritica come intellettuale che, a partire dagli anni ’80, ha battuto molto su un altro tipo di passione, che è quella weberiana del disincanto. Io adesso dico questo: ho l’impressione che se continuiamo a battere sul tasto del disincanto, non facciamo altro che compiere una ulteriore apologia dell’esistente. I nostri politici sono fin troppo disincantati, ai limiti quasi del cinismo; io ritengo che è venuto il momento di parlare della necessità di reincantare la politica. Non intendo dare per nulla miti. Pannella: Ma il nostro popolo è incantato da Welby, da Luca Coscioni per quanto lo conosce, è incantato da queste realtà. Dopo un sessantennio, c’è un divorzio assoluto tra i valori che emergono dal popolo e la partitocrazia dominante. Per questo parlo di assenza di democrazia, in Italia come in Israele. L’opinione pubblica israeliana e l’idea dell’ingresso di Israele nell’Unione Europea. Il popolo italiano e i suoi convincimenti sul finanziamento pubblico di partiti, sindacati e chiese. Pannella: Come facciamo a dare credito, che si chiama speranza, a qualcosa che si sta rivelando assolutamente impermeabile al pensiero politico? Allora per la prima volta abbiamo annunciato che alle elezioni regionali, siccome di nuovo Pd e Partito di Berlusconi stanno per porre lo sbarramento al 4 per cento con il voto di Sinistra e Libertà che si è garantita un po’ di assessori, iniziamo a raccogliere le ‘pre-firme’ alle liste Bonino-Pannella regionali. Poi Pannella torna a riflettere sulle ultime elezioni europee: “C’è questo mistero: abbiamo avuto una campagna di una grande radicalità. Ebbene, l’Istituto Cattaneo ha dimostrato che noi abbiamo avuto più voti dal centro-destra che dal centro-sinistra. E allora questo non significa qualcosa?
    18:15 Durata: 14 min 50 sec
  • Marramao: La politica oggi si è progressivamente de-culturalizzata; intendo dire che è senza idee, senza sapere, senza conoscenze. Pannella: E quindi, da complici, litigano su problemi di sesso. Marramao: C’è un vuoto culturale incredibile: la teoria ‘dei fatti’ che tu hai messo in campo richiede uno sforzo di analisi da parte dell’intellettuale collettivo. La necessità, secondo Marramao, di ridefinire la laicità

    Marco Pannella

    presidente del Senato del Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito (PRNTT)

    Giacomo Marramao

    ordinario di Filosofia Politica e Teorica, direttore scientifico della Fondazione Basso-Issoco

    Marramao: I problemi che tu hai posto mi confermano una cosa: è impossibile affrontare i nodi che hai sollevato senza un serio retroterra culturale. La politica oggi si è progressivamente de-culturalizzata; intendo dire che è senza idee, senza sapere, senza conoscenze. Pannella: E quindi, da complici, litigano su problemi di sesso. C’è un vuoto culturale incredibile: la teoria ‘dei fatti’ che tu hai messo in campo richiede uno sforzo di analisi da parte dell’intellettuale collettivo. Qui si pone una questione molto seria. Si diceva della necessità di reincantare la politica e tu hai citato Welby, Englaro, etc. Beh, qui abbiamo a che fare con una soglia nuova, storica, importante: noi siamo entrati non soltanto nell’ambito della sperimentazione scientifica, ma anche nell’ambito del dibattito della sfera pubblica, dentro una fase che è segnata da una novità dirompente. Per la prima volta si dispone di tecniche, tecnologie, non più deputate a controllare la natura esterna, ma invece incidono sulla natura interna. Io qui ti faccio una contro-provocazione: io credo che un vero pensiero laico radicale - che io ritengo in qualche modo di portare avanti con il mio lavoro e le mie battaglie da ‘non allineato’ - non può fare a meno di fare i conti con problemi di ‘teologia politica’. Non intendo la ‘teologia politica’ come un fatto astratto, scolastico, ma come quel sistema di principi che in maniera consapevole o meno, orienta determinate scelte dei politici, che lo sappiano o meno. Pannella: Don Verzè ha detto che oggi la religiosità è un problema di genoma. E io dico che sono d’accordo. Marramao: Bisogna entrare nel vivo di questi temi; è finito il tempo della laicità come separazione di sfere, cioè è finito il tempo della laicità in cui la politica si occupa delle verità penultime e le verità ultime sono nel segreto della coscienza. La politica oggi ha a che fare con un ventaglio di questioni che un tempo erano pre-politiche e che oggi sono divenute ingredienti di una super-politica e che incidono sulle agende dei governi. Pannella: Per noi il principio è che la via della conoscenza è dia-logica, e dunque noi non vogliamo educare, noi vogliamo informare quello che si forma. Marramao: Voi avete fatto delle battaglie straordinarie sul nesso democrazia-stato di diritto-consenso informato; io penso che questo sia il vero nodo oggi. Dobbiamo essere in grado, come laici, di dibattere anche con i teologi, etc.. Sono d’accordo sulla verità che è perseguita in maniera dialogica, dove però il dialogo lo intendo come lo intendeva la filosofia greca, cioè non ‘volemose bene’, non è il compromesso, ma uno spazio all’interno del quale tesi e antitesi si possano polarizzare liberamente. Pannella: E diventano terze. Il modello statunitense: grande religiosità presente, ma nessun concordato con le chiese, riassume Bordin. Pannella: Questo è essere laici. Marramao: E’ un dio legato all’idea della contingenza che è proprio delle posizioni laiche radicali. Noi dobbiamo sapere che in politica non possiamo perseguire degli assoluti. La chiave per comprendere i guasti dei totalitarismi è proprio qui, nella mancanza di rispetto per l’ignoto. Dio è per loro, oltre che lo spazio di accoglienza per qualunque fede che si possa coltivare nella propria intimità o nella dinamica delle associazioni, anche il limite di ogni progetto che possiamo sviluppare in politica
    18:30 Durata: 13 min 15 sec
  • Il futuro dell'Unione Europea. Il materialismo sfrenato di alcuni cattolici. Don Verzè, Edoardo Boncinelli e Giovanni Reale. Conclusioni.

    Marco Pannella

    presidente del Senato del Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito (PRNTT)

    Giacomo Marramao

    ordinario di Filosofia Politica e Teorica, direttore scientifico della Fondazione Basso-Issoco

    Marramao: L’Unione Europea: io qui ritengo che una politica europea, e una politica italiana che si collochi nella politica europea, deve sapere che il XXI secolo si sta configurando come un secolo sino-americano, dove noi abbiamo un’alternativa tra due modelli di globalizzazione: quello individualistico-competitivo americano e quello anti-individualistico, comunitario, statalista e iper-produttivistico del colosso asiatico. Io penso che l’Europa, per potere giocare un ruolo nello spazio globale, dovrebbe essere in grado di ridefinire in maniera originale entrambi i termini della coppia e pensare a un individuo non solo competitivo e acquisitivo, ma anche relazionale, dotato di un collante civile, e per l’altro verso una comunità non autoritaria o paternalistica, ma che sia in grado di valorizzare al massimo grado le irriducibili differenze dei singoli individui. Il materialismo sfrenato di certi cattolici. La figura e il contributo intellettuale di Massimo Fagioli. Marramao: Io dico sempre che vi è tutto sommato anche la possibilità di allargare il discorso anche oltre gli esseri umani; quindi noi siamo segnati anche da fattori biografici contingenti, ma questa contingenza ci rende ciò che effettivamente siamo. Quindi penso anche che l’umanità verso cui ci dobbiamo muovere - anche se per ora siamo profeti in patria non molto ascoltati - è una umanità fatta da singolarità di individui concreti che, una volta emancipati dai ricatti dello sfruttamento e del potere, si possano muovere liberamente liberamente come della singolarità semplicemente storiche. La figura di Don Verzè e il suo libro di sette anni fa, propagandato unicamente da Radio Radicale. L'opera di Edoardo Boncinelli e di Giovanni Reale
    18:43 Durata: 14 min 51 sec