12 GEN 2018
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FaiNotizia - Colombia: la pace non è fatta

RUBRICA | - Firenze - 19:03 Durata: 4 min 17 sec
A cura di Fabio Arena
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A cura di Raffaele Pugliese.

In Colombia la pace sembra ormai realtà.

I documenti sono stati firmati e il Presidente Manuel Santos è volato a Oslo per ricevere il Nobel per la Pace.

La visita dello scorso settembre di Papa Francesco, poi, ha rappresentato una sorta di sigillo finale.

Dulcis in fundo, all’inizio di settembre le FARC, dopo aver consegnato le armi, hanno cambiato pelle: non più una formazione armata guerrigliera, ma un partito che aderisce al processo democratico.

Si tratta di una svolta epocale per il Paese, sebbene azzoppata dal fatto che l’acronimo resti lo stesso: FARC
(non più "Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia", ma "Fuerza Alternativa Revolucionaria de Colombia").

Sarà difficile non pensare alle vecchie FARC quando si nominerà la nuova.

Insomma, pace fatta.

O forse no.

In effetti, le cose non sono così semplici.

I problemi per il Paese sono tutt’altro che finiti.

Il processo di pace deve essere ora implementato e deve entrare nelle coscienze e nei gesti quotidiani dei colombiani.

Le resistenze interne sono ancora molto forti, come ha dimostrato il "no" al referendum del 2 ottobre 2016.

Da un lato, ampi settori della destra si battono contro l’integrazione nella vita politica e sociale degli ex-guerriglieri, anche perché timorosi che il nascente partito possa diventare, col tempo, un potente catalizzatore per le istanze delle fasce meno abbienti della popolazione.

Dall’altro, vasti settori della società civile ritengono che l’accordo sia troppo "morbido" sul tema dell’amnistia.

C’è chi vuole che la giustizia non punisca solamente chi, tra i guerriglieri, si è macchiato di gravi crimini contro l’umanità, ma chiunque abbia commesso un reato.

Una richiesta comprensibile - basti pensare che nipoti e figli di persone uccise dalle FARC potrebbero ora essere costretti a vedere gli esponenti del neonato partito sedere nel Congresso colombiano - ma contraria agli accordi presi e comunque di difficile attuazione.

A meno di non voler mettere a repentaglio l'intero processo di pace.

Si tratta di questioni che riflettono le profonde ferite del Paese, e non è affatto scontato che vengano affrontate e risolte pacificamente.

Non a caso, una delle paure più radicate tra i sostenitori del processo di pace è che vi sia un’escalation di violenza nei confronti degli ex-guerriglieri che porti alla rottura dell'accordo.

«Il primo pericolo per il processo di pace è la sicurezza degli ex-guerriglieri», afferma Margarita Florez, Direttrice della Ong colombiana Ambiente y Sociedad.

Avvocato e investigatrice, Florez da anni difende in Colombia i diritti ambientali della popolazione, con particolare attenzione alle comunità indigene del Paese.

Ha lavorato con l'Instituto Latinoamericano de Servicios Legales Alternativos, collaborando con importanti associazioni internazionali che si occupano di temi legati alla protezione ambientale.

Autrice di numerosi libri, la Florez ha anche insegnato presso diverse università, tra cui l' Universidad Pedagógica Nacional di Bogotà.

Da qualche anno dirige la Associazione "Ambiente y Sociedad", ONG nata nel 2012 e tra le più attive del Paese nella difesa della democrazia ambientale e nella lotta allo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali colombiane.

Florez è perciò una profonda conoscitrice dei processi politici e sociali colombiani, oltre che un'attenta osservatrice del processo di pace fin dalle sue prime fasi.

«Il secondo ostacolo per il processo di pace - continua - è il lungo cammino che si dovrà percorrere».

Secondo la direttrice di Ambiente y Sociedad, lo scenario più auspicabile è quello di una progressiva implementazione del processo.

A tal proposito, le elezioni che si terranno nella primavera del 2018 saranno decisive.

«Il problema sarà se nel Congresso, attraverso nuove leggi, si iniziano a disconoscere questioni già risolte - aggiunge la Florez - In quel caso potrebbe iniziare un nuovo conflitto».

Vi sono poi problematiche che, paradossalmente, potrebbero aggravarsi proprio a causa del processo di pace.

Nel Paese restano più che mai vive e attuali profonde fratture economiche e sociali.

«La Colombia è il secondo Paese al mondo per quanto riguarda il grado di disuguaglianza - ricorda la Direttrice di Ambiente y Sociedad - Molte compagnie private ora possono arrivare in zone dove prima non riuscivano.

La deforestazione è aumentata moltissimo da quando sono stati firmati gli accordi».

In altre parole, con la ritirata delle FARC ampie zone della Colombia si sono ritrovate senza un vero padrone.

Lo Stato, infatti, non ha ancora il pieno controllo dell'intero Paese, e non è chiaro quando lo avrà.

Nel frattempo chi può ne approfitta.

E non si tratta solo delle grandi compagnie citate dalla Florez che disboscano, estraggono minerali e inquinano.

Nel Paese, infatti, sono presenti diversi attori che non hanno alcun problema a utilizzare la violenza per imporre i propri interessi.

Tra paramilitari, narcotrafficanti e altri gruppi guerriglieri (il Governo sta trattando con il più importante di essi, l'ELN), la violenza è ancora un problema endemico in Colombia, che condiziona pesantemente la vita politica, economica e sociale del Paese.

Il periodo più delicato per il processo di pace, perciò, inizia ora.

Si tratta di un percorso lungo e tortuoso, con molti nodi da sciogliere.

Come disse nel maggio 2013 Sergio Jaramillo, ex Alto Comisionado para la Paz e ora ambasciatore a Bruxelles: «Con la firma dell'accordo di pace entriamo nella transizione.

Si potrebbe dire che questo è il vero inizio del processo di pace, non la fine».

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