06 MAR 2019
intervista

Il Paese sulla sabbia, conversando con Mariapaola Vergallito - Un reportage di Maurizio Bolognetti

SERVIZIO | di Maurizio Bolognetti - Senise - 09:30 Durata: 35 min 32 sec
A cura di Fabio Arena
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"20-30mila miliardi di investimenti in trent’anni per il riassetto idrogeologico del territorio" scriveva Marco Pannella nel 1978 "significherebbe centinaia di migliaia di posti di lavoro.

Altro che leggi speciali per i giovani, altro che bioproteine o centrali nucleari".

Quarant’anni dopo siamo ancora il Paese che piange lacrime di coccodrillo all’indomani di tragedie annunciate e in cui la cronica incapacità di governare il territorio prepara le tragedie di domani.

Il dissesto idrogeologico, diceva Marco, è figlio del dissesto ideologico, volendo intendere con questo felice slogan che
spesso, troppo spesso, il dissesto che si traduce in lutti e tragedie, morti e sfollati, è aggravato e/o provocato da una dissennata gestione del territorio e da interventi scellerati, quali, ad esempio, la cementificazione degli argini di un fiume, la deforestazione o il costruire all’interno della fascia di pertinenza fluviale di un fiume o di un torrente.

Il 26 luglio del 1986, un vasto fronte franoso, innescatosi su un versante della collina Timpone in agro di Senise, spazzò via una ventina di case e la vita di 8 persone, tra queste quella di quattro bambini.

Quelle case erano state costruite in una zona decisamente instabile e a seguito del rilascio di una regolare licenza edilizia.

Vite inghiottite, spezzate da scelte caratterizzate, volendo usare un eufemismo, da un assoluto dato di incoscienza.

Mariapaola Vergallito, direttore de La Siritide, custodisce gelosamente la memoria di quel che è avvenuto a Senise 30 anni fa e, nel corso della nostra conversazione, mi ha ricordato che le cronache dell’epoca riferirono di un’intera borgata "costruita sulla sabbia".

La frana di Senise, al pari di altre vicende, assurge a metafora di un Paese in cui troppo spesso costruiamo sulla "sabbia".

La "sabbia" del dissesto ideologico, la "sabbia" del tradimento del dettato costituzionale, la "sabbia" della democrazia reale.

Passeggiare nel territorio di Senise, in compagnia di Mariapaola Vergallito e Giuseppe Panaino, alla ricerca di schegge di memoria, immediatamente mi riporta alla "sabbia" del Vajont, di Giampileri, di Sarno, dei morti inghiottiti dal torrente Beltrame.

Penso a un Paese in cui preferiamo gestire "emergenze" anziché percorrere la strada maestra della prevenzione e in cui le voci delle oltre 10mila vittime, provocate dal 1900 a oggi da frane e inondazioni, non vengono ascoltate.

L’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica racconta che dal 1961 al 2010 in Italia sono morte a causa di frane e inondazioni 3.980 persone e che, nello stesso arco temporale, tragedie più o meno annunciate hanno determinato 435.145 senzatetto e sfollati.

Un bollentino di guerra in cui vediamo uno stivale davvero unito dalla Val d’Aosta alla Sicilia, se è vero come è vero che nel sopra citato periodo sono state colpite da frane e/o inondazioni 20 regioni, 115 province e 3075 località.

Questo in un Paese in cui ben 7.145 comuni hanno aree classificate ad elevata pericolosità idrogeologica.

Il territorio di Senise è stato interessato in questi giorni da un nuovo fronte franoso che per fortuna non ha provocato morti, ma che ha portato alla chiusura di un tratto della Strada Statale 653 (Sinnica), vitale arteria lucana che "taglia orizzontalmente la Basilicata, collegando l'A2 Salerno-Reggio Calabria alla Strada Statale 106 Jonica".

Un movimento franoso che potrebbe essere stato innescato o aggravato da infiltrazioni d’acqua incontrollate provenienti dalla rete idrica gestita dal Consorzio di Bonifica.

Manco a dirlo, quest’ultimo evento franoso sta creando grande disagio a operatori economici e cittadini (Scheda tratta da articolo dell’autore del servizio).

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