Critica e militanti

Buongiorno da critiche militanti tra gli anniversari letterari di quest'anno oltre a quello
Di un capitalizzato l'implacabile come Calvino c'è anche quello di un dissipatore naturale come Antonio Delfini nato nel mille novecentosette morto nel mille novecento sessantatré quindi sessanta anni fa
Delfini era un possidente aristocratico modenese che a poco a poco perse tutto si spostò inquieto tra la sua città stenda lì Anna e Firenze viareggio Milano e Roma
Con un seguito di madre sorella quasi da personaggio di Palazzeschi e venne infine consumato da Breve intollerabile amore
Il maggior critico in un certo senso il creatore del caso del fine è stato Cesare Garboli che ha trovato il Luís
La cavia più adatta a mettere in moto la sua operazione preferita cioè la scoperta o se si preferisce l'invenzione di un destino oscuro a se stesso
Agli occhi di Garboli questo vitellone autodidatta che a vent'anni redasse riviste con guardalinee Pannunzio ma che rimase poi sempre alieno dallo spirito imprenditoriale dei compagni più che la stoffa dell'Autore aveva forse quella del personaggio di romanzo
Era un uomo difficile da inquadrare delfini sia negli scritti sia nella biografia ma a differenza del suo gemello aristocratico ozioso dice Garboli cioè il coetaneo Tommaso Landolfi non seppe organizzare i propri fallimenti
La sua vicenda di nobili luccio
Ultimo rampollo di una stirpe ormai in decadenza ed intellettuale velleitario diviso tra reazione anarchica
A pareti ippica quasi fino all'insignificanza ma secondo Garboli è cito come se il destino di delfini non si trovi chiuso nella stessa bobina che contiene la sua vita
E allora viene da chiedersi se questo destino c'è nei libri dove sia nascosto il destino letterario per lo meno di questo scrittore che parodia il naïf di questo millantatore dal sentimentalismo però così pervasivo
Da renderlo pressoché incapace di ipocrisia
Sta forse questo destino nell'esordio un po'casalingo di ritorno in città del mille novecentotrentuno coi suoi poemetti in prosa a metà strada tra i simbolisti francesi e le cantilene di campanile
O sta nello Pseudo surrealismo del fanalino della batti Monda del mille novecentoquaranta o negli altri schizzi poi cuciti in quella veste da Arlecchino che il volume della Rosina perduta nel mille novecentocinquantasette
Lo spirito del destino di delfini la sua cifra è nelle Poesie della fine del mondo del mille novecentosessanta o nell'incipit di Bildungsroman della storia d'amore intorno a un quaderno smarrito
Nel o nello Zibaldone ancora un po'puerile salta belcanto e dei diari
O forse il suo ritratto più fedele resta e quello del più celebre ricordo della Basca del mille novecentotrentotto e soprattutto dell'introduzione aggiunta al volume nel mille novecentocinquantasei ma che dire
Poi allora di Misa Bovetti altre cronache un libro uscito nel cinquantanove
Dove in un certo senso sì a fine anno e si annullano vicendevolmente in un gioco se quel meccanico che ricorda un po'Massimo Bontempelli la buttare la satira alla letteratura al quadrato
E la compulsiva Ray veri del finiana con risultati davvero rari in ogni caso gusti a parte a restituire la cifra prevalente
Io lo scrittore pur così dispersivo bastano forse le pagine del ricordo li si vede ovunque sorgere ricadere quel pulviscolo di immagini che fa dei suoi racconti ricordi di sogni in cui tempi si mangiano la coda
Quasi delle fantasie Sistino viste su come la vita avrebbe potuto essere le prose di delfini sono le escrescenze si direbbe senza capo né coda di un narcisismo infantile e vorace in esaurimento affascinato da quelle sa come un po'novecento che Eugenio Montale di Fini figure dal Mana Co
Nel libro del trentotto nel ricordo della Basca queste silhouette prendono corpo narrativo in una modista nel travolgente sogno ci aperti di un fidanzato un poco Cogliano
Ma soprattutto nell'ottimo artigianato di racconti come quello del contrabbandiere quello del maestro pezzi da affiancare per immaginario se non per densità di prosaico editi esperimenti di Arturo Loria Gianni Celati ha osservato che quella di delfini non è la lingua del si scrive così
Ma cito quella del nostro orecchio interno secondo Garboli la prosa del finiana mantiene cito ancora la grazia e l'affanno con cui si respira
Si può dire che nessuna autorità Aliano sia stato più lontano di delfini dall'idea di essere padrone della lingua annotava felicemente celati l'autore questo autore fa leva sull'emozione pura di scrivere si ascolta raccontare come se scoprisse le parole via via che le pronunce citando sì
Quasi come un bambino e adesso citiamo delfini un passo famoso se noi avessimo mai il dono di cantare il pianto e il rancore la disperazione l'ostinata speranza la previsione dell'amarezze l'impossibile rinuncia all'amore disperso in mezzo ai disastri del mondo
E all'implacabile andare del tempo dell'uomo che sia noi vorremmo dire con la certezza di dar nel senso di idea qual era nei suoi inimitabili contorni
La panoramica nel ricordo della Basca nei pensieri e negli strappi di Giacomo dissidente che vent'anni dopo il suo unico ed assoluto incontro e così via
è in questa frenesia un fori che dilapidato aria che sta all'automatici smonti del finì la sua contiguità effimera cui surrealisti siamo davanti a un autore in cui il candore una complicazione quasi corta sahariana l'aggressività e lineare Mita la Guasco neri e la paranoia l'inerzia e l'impazienza sembrano una cosa sola Garboli
Ha cercato si diceva ridargli finalmente un destino rimasto a mezzo ancora informe cioè di aiutarlo a vivere dopo la vita a morire
E viceversa a un certo punto
Nel suo scritto più famoso su delfini intona il motivo della loro amicizia della differenza di età che diviene poi centrale con stracci o al culmine di questo ritratto saggio raccolto
Poi scritti servili un culmine che anche il punto in cui il giovane Maietta Garboli permette all'amico più anziano di fissare una sua immagine di autore attraverso l'introduzione racconto alla basca
E che in qualche modo si replicherà appunto nell'introduzione racconto Garboli ha nei suoi diari
Che a sua volta un momento cruciale di passaggio nella Presa
Di coscienza di Garboli della sua vocazione e chiediamo allora proprio questo gioco di specchi su una pagina commovente del ritratto Garboli hanno dei delfini a torto Delfini era giudicato noioso scrive Garboli
Ha torto perché a farci brillare a farci essere non è mai la nostra natura ma una regia invisibile l'ambiente scenico
Delfini non era un conversatore brillante né un uomo di mondo in mezzo agli altri in società si lasciava vincere dalla timidezza e nera paralizzato ma la timidezza è una percezione intima della propria superiorità
Unità la certezza che non sarebbe mai stato capace di esprimerla lo rendevano atteggiato è sarcastico
Per dare il meglio di sé Delfini aveva bisogno della solitudine e della notte
Il cicaleccio la fatuità la mondanità da cui era affascinato chiamava secondo l'immagine che inseguiva disse non secondo la propria natura lo incarnavano
Perché gli suggerivano l'idea sbagliata della futilità come se la futilità non fosse come una realtà ma un oggetto che si può desiderare il cui desiderio ci fa sentire sciocchi e colpevoli
Chi lo ascoltava si distraeva imbarazzate le ragazze passata la curiosità tornavano a chiedersi su quale Cisitalia sarebbe stato saggio imbucare le loro lunghe gambe dorate per farsi portare prima di mezzanotte verso il centro del mondo
Cioè la Capannina del Forte
Delfini serie fissava verso la casa il centro evitare di viareggio
Che vanno mi son come i personaggi alla fine del capitolo amava cenare da solo
Lo ritrovavano che fonda poco prima di giorno quando rientravo a casa fischi evitando Long ancora fare Way o sessi Bon con la solitudine dei trent'anni e la speranza di cibo dei cani che frugano tra i rifiuti
Facevo il giro dei caffè di viareggio ancora aperti Delfini era là in piedi nello spicchio di luce ritagliato nel fondale della notte afosa davanti al banco una mano in tasca
L'altra tenere il bicchiere o levata grattarsi il cranio già quasi calvo nel vedermi nel vedere qualcuno sorriso is cucchiaiata la faccia tagliandola da un orecchio all'altro il cameriere
Sciacquate asciugava le tasse si sentiva solo quel rumore d'acqua io ritmico e il mare avanzante mansueto
Io a due passi vicino ma anche lontano
Più Suire tenendo flan console
Mentre sì da chi te lattuga voli non avendo alcun interesse per me ma giudicando mi un pozzo di scienza letteraria conoscendomi come una promessa euro per lui il pubblico ideale
Cominciamo allora un rito un battibecco recitato dove delfini rideva trionfante dello sperpero della sua intelligenza
A un tratto mi presentava al cameriere le presento il professor Gigli professore di Filologia Omarini umanistica e comparata come tutti gli autodidatti avevamo Complesso verso che avesse fatto studi regolari
E mi assegnava titoli onorari e i gradi di capitano in un'armata immaginaria
Sentirsi chiamare il generale Antonio lo rallegra fa una delle sue mitologie della rivoluzione messicana al punto da fargli dimenticare che si trattava di un gioco a risentirci venerdì prossimo