Roma, 18 novembre 2003 - Appuntamento settimanale con Radio Carcere, la rubrica condotta e curata da Riccardo Arena sulle frequenze di Radio Radicale.
Questa sera la trasmissione tornerà ad occuparsi di un grave fatto di ordinaria ingiustizia: il caso di Luigi Milloni e Mario Ferrante, che si trovano in carcere da 12 anni e che oggi, in base a nuovi elementi di prova, si scopre essere innocenti.
Si è appena appresa la notizia che la Procura generale di Bari e la difesa di Milloni hanno presentato istanza di revisione del processo (vai al testo della legge), unico strumento che consente di … mettere in discussione una sentenza penale passata in giudicato, permettendo di ottenere una sospensione della pena ed una riapertura del processo.
Arena dapprima fa una breve ricostruzione dei fatti: nel 1991 viene ucciso a Bari Sebastiano Dentamaro, un testimone accusa dell'omicidio Milloni e Ferrante, che vengono chiusi in carcere, pur professandosi innocenti; anche se il teste ritratterà la sua deposizione, la Corte di Assise di Bari nel 1992 condanna i due imputati a 22 anni di reclusione.
Oggi, a 12 anni di distanza, succede un fatto nuovo: la procura di Bari, nell'ambito di un'altra inchiesta, raccoglie deposizioni di testimoni che confermano l'innocenza del Ferrante e del Milloni, che sarebbero scagionati dal reato di omicidio volontario.
Da 12 anni sono quindi in carcere due persone accusate ingiustamente di aver ucciso un uomo.
Radio Carcere ha realizzato in esclusiva un'intervista a Luigi Milloni, effettuata nel carcere di Taranto, di cui sul sito radioradicale.it sarà presto disponibile anche il video.
Milloni illustra la sua vita prima del carcere e la sua entrata nell'istituto di pena.
11Io ero convinto, sin dal primo interrogatorio, che non sarei più uscito - afferma Milloni - e che non mi avrebbero creduto; parlare con il PM mi faceva paura.
Spiega poi la strategia che gli ha permesso di andare avanti e di sopportare la detenzione pur essendo innocente, attribuendo il merito alla volontà di rivedere i figli, alla forza di carattere ed alla consapevolezza che solo comportandosi bene poteva avvicinare il termine della detenzione.
Racconta quindi della sofferenza del suo coimputato Mario Ferrante, che trovava più difficile arrendersi alla realtà del carcere e quindi maggiormente ne accusava le conseguenze.
Arena - intervenendo - nota che talvolta si deve smettere di sperare nel riconoscimento della propria innocenza per poter sopravvivere.
La vera sofferenza, secondo Milloni, è stata l'impossibilità di stabilire un colloquio e dei rapporti affettivi con i propri figli.
Illustra quindi la saldezza del rapporto con sua moglie, la forza che gli ha dato questo legame ed il dolore e la fragilità di quest'ultima.
Parla poi dei casi di suicidio in carcere e della frequente incredulità di altri detenuti che, conoscendo la sua storia, ne osservavano l'atteggiamento pacato e positivo.
Analizzando la sua situazione con onestà e lucidità, Milloni ammette di pagare la provenienza da un brutto ambiente e di aver commesso dei furti, ma con altrettanta franchezza ammette che ammazzare una persona non gli ha mai sfiorato la mente.
Racconta quindi l'iter processuale e le inutili proteste della sua innocenza.
Si chiede, in conclusione, perché, nonostante le prove recenti della sua innocenza, continui a rimanere in carcere.
La forza che avevo per combattere - aggiunge -, visto che lottare contro un muro mi vedeva comunque perdente, l'ho riservata per vivere in carcere.
L'ultimo appello di Luigi Milloni è rivolto ai media, invitandoli ad una maggiore accortezza e ponderazione nella diffusione delle notizie; mentre le considerazioni finali riguardano la durezza della vita detentiva, che incide profondamente, nel corpo e nella mente, sui più deboli.
Attraverso la vicenda di Milloni e Ferrante - conclude Arena - emergono tante questioni sulla giustizia e sul carcere, come non ultima la difficoltà nel difendersi e nel far sentire la propria voce.
Questa sera la trasmissione tornerà ad occuparsi di un grave fatto di ordinaria ingiustizia: il caso di Luigi Milloni e Mario Ferrante, che si trovano in carcere da 12 anni e che oggi, in base a nuovi elementi di prova, si scopre essere innocenti.
Si è appena appresa la notizia che la Procura generale di Bari e la difesa di Milloni hanno presentato istanza di revisione del processo (vai al testo della legge), unico strumento che consente di … mettere in discussione una sentenza penale passata in giudicato, permettendo di ottenere una sospensione della pena ed una riapertura del processo.
Arena dapprima fa una breve ricostruzione dei fatti: nel 1991 viene ucciso a Bari Sebastiano Dentamaro, un testimone accusa dell'omicidio Milloni e Ferrante, che vengono chiusi in carcere, pur professandosi innocenti; anche se il teste ritratterà la sua deposizione, la Corte di Assise di Bari nel 1992 condanna i due imputati a 22 anni di reclusione.
Oggi, a 12 anni di distanza, succede un fatto nuovo: la procura di Bari, nell'ambito di un'altra inchiesta, raccoglie deposizioni di testimoni che confermano l'innocenza del Ferrante e del Milloni, che sarebbero scagionati dal reato di omicidio volontario.
Da 12 anni sono quindi in carcere due persone accusate ingiustamente di aver ucciso un uomo.
Radio Carcere ha realizzato in esclusiva un'intervista a Luigi Milloni, effettuata nel carcere di Taranto, di cui sul sito radioradicale.it sarà presto disponibile anche il video.
Milloni illustra la sua vita prima del carcere e la sua entrata nell'istituto di pena.
11Io ero convinto, sin dal primo interrogatorio, che non sarei più uscito - afferma Milloni - e che non mi avrebbero creduto; parlare con il PM mi faceva paura.
Spiega poi la strategia che gli ha permesso di andare avanti e di sopportare la detenzione pur essendo innocente, attribuendo il merito alla volontà di rivedere i figli, alla forza di carattere ed alla consapevolezza che solo comportandosi bene poteva avvicinare il termine della detenzione.
Racconta quindi della sofferenza del suo coimputato Mario Ferrante, che trovava più difficile arrendersi alla realtà del carcere e quindi maggiormente ne accusava le conseguenze.
Arena - intervenendo - nota che talvolta si deve smettere di sperare nel riconoscimento della propria innocenza per poter sopravvivere.
La vera sofferenza, secondo Milloni, è stata l'impossibilità di stabilire un colloquio e dei rapporti affettivi con i propri figli.
Illustra quindi la saldezza del rapporto con sua moglie, la forza che gli ha dato questo legame ed il dolore e la fragilità di quest'ultima.
Parla poi dei casi di suicidio in carcere e della frequente incredulità di altri detenuti che, conoscendo la sua storia, ne osservavano l'atteggiamento pacato e positivo.
Analizzando la sua situazione con onestà e lucidità, Milloni ammette di pagare la provenienza da un brutto ambiente e di aver commesso dei furti, ma con altrettanta franchezza ammette che ammazzare una persona non gli ha mai sfiorato la mente.
Racconta quindi l'iter processuale e le inutili proteste della sua innocenza.
Si chiede, in conclusione, perché, nonostante le prove recenti della sua innocenza, continui a rimanere in carcere.
La forza che avevo per combattere - aggiunge -, visto che lottare contro un muro mi vedeva comunque perdente, l'ho riservata per vivere in carcere.
L'ultimo appello di Luigi Milloni è rivolto ai media, invitandoli ad una maggiore accortezza e ponderazione nella diffusione delle notizie; mentre le considerazioni finali riguardano la durezza della vita detentiva, che incide profondamente, nel corpo e nella mente, sui più deboli.
Attraverso la vicenda di Milloni e Ferrante - conclude Arena - emergono tante questioni sulla giustizia e sul carcere, come non ultima la difficoltà nel difendersi e nel far sentire la propria voce.
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