02 OTT 2025
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Postsovietika. Intervista ad Anna Zafesova

RUBRICA | di Ada Pagliarulo - RADIO - 08:38 Durata: 5 min 8 sec
A cura di Guido Mesiti
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Putin promulga la legge che prevede il ritiro della Russia dalla Convenzione europea per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti.

Un passo grave, ma che si iscrive in percorso già tracciato dalla consuetudine del ricorso alla tortura nel sistema giudiziaro e penitenziario russo e sovietico.

Le trasmissioni di cronaca non esitano a mostrare gli accusati appena fermati insanguinati o con occhi pesti.

Un caso esemplare è rappresentato dalla diffusione in tv delle immagini degli arrestati per l'attentato al centro commerciale Crocus: uno di loro fu portato in tribunale
in coma e in sedia a rotelle, gli altri con un braccio rotto o un occhio bendato.

I trattamenti inumani e degradanti fanno parte dei metodi di indagine russi.

Ora, con l'approvazione definitiva della legge, detenuti e indagati non potranno più fare ricorso in sede internazionale.

Anche perché, dopo l'invasione dell'Ucraina, la Russia è stata sospesa dal Consiglio d'Europa e i cittadini russi non possono appellarsi alla Cedu.

Ma già dal 2020, tra le modifiche costituzionali volute da Putin, è stata sancita la supremazia della legislazione russa sui trattati internazionali.

Con la guerra e la trasformazione della Russia in dittatura militare, il percorso è diventato definitivo.

Ong e governi occidentali si mobilitano per salvare i detenuti politici russi, cui vengono sistematicamente negate cure mediche, patendo la fame in celle non riscaldate, come evvenne a Navalny.

Ma la tortura è una prassi consolidata, riservata non solo ai detenuti e agli imputati politici: qualunque cittadino russo arrestato, fermato, è sottoposto a questo trattamento fin dal momento del fermo in un distretto di Polizia.

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