Roma, 2 maggio 2001 h19.20 - Il presidente di Confindustria Antonio D'Amato ha risposto alle domande dei giornalisti, dopo l'incontro con il governo relativo allo stato dei rapporti contrattuali.
La politica dei redditi, per il presidente degli industriali, dovrà seguire il dato dell'inflazione programmata e non quello dell'inflazione corrente.
Antonio D'Amato ha ricordato che Confindustria, "per quel che riguarda la dinamica contrattuale", rientra "nell'assoluta fisiologia" dei tempi di chiusura, infatti, ha aggiunto, "abbiamo concluso 32 contratti di lavoro, ne abbiamo 7 in corso, ne abbiamo … 29 che scadranno in futuro".
La questione della pendenza di contratti scaduti da molto tempo "riguarda altre organizzazioni datoriali".
D'Amato ha espresso apprezzamento per la "ferma posizione assunta dal presidente del consiglio nel ricordare a tutti la necessità di mantenere la barra del timone ben ferma sul senso e sulla lettera dell'accordo del '93, per quanto riguarda inflazione programmata e politica dei redditi".
D'Amato ha quindi commentato i dati dell'Aran che registrano "un aumento delle retribuzioni nell'ordine del 4,9% nel pubblico impiego", contro "un'inflazione programmata per il 2001 a 1.7%, e per il 2002 a 1.2%, secondo i parametri da Dpef", generalmente, "dal 1996 al 2000, le retribuzioni sono state superiori alle retribuzioni contrattuali".
Se da una parte "Abbiamo avuto una fortissima spinta per effetto del dollaro sui prezzi petroliferi, e questo ha fatto saltare le previsioni di inflazione", dall'altra, "l'economia internazionale registra un andamento nettamente diverso da quello indicato nel Dpef".
Altro conto quindi è l'inflazione importata, e "la politica dei redditi - ha concluso D'Amato - si fa tenendo la rotta ferma sull'inflazione programmata, per questa ragione il numero che fa fede è quello del Dpef".
Se invece il riferimento fosse quello relativo "al dato dell'inflazione corrente avremmo un meccanismo di scala mobile".
Così facendo "correremmo il rischio di generare ulteriore inflazione".
La politica dei redditi, per il presidente degli industriali, dovrà seguire il dato dell'inflazione programmata e non quello dell'inflazione corrente.
Antonio D'Amato ha ricordato che Confindustria, "per quel che riguarda la dinamica contrattuale", rientra "nell'assoluta fisiologia" dei tempi di chiusura, infatti, ha aggiunto, "abbiamo concluso 32 contratti di lavoro, ne abbiamo 7 in corso, ne abbiamo … 29 che scadranno in futuro".
La questione della pendenza di contratti scaduti da molto tempo "riguarda altre organizzazioni datoriali".
D'Amato ha espresso apprezzamento per la "ferma posizione assunta dal presidente del consiglio nel ricordare a tutti la necessità di mantenere la barra del timone ben ferma sul senso e sulla lettera dell'accordo del '93, per quanto riguarda inflazione programmata e politica dei redditi".
D'Amato ha quindi commentato i dati dell'Aran che registrano "un aumento delle retribuzioni nell'ordine del 4,9% nel pubblico impiego", contro "un'inflazione programmata per il 2001 a 1.7%, e per il 2002 a 1.2%, secondo i parametri da Dpef", generalmente, "dal 1996 al 2000, le retribuzioni sono state superiori alle retribuzioni contrattuali".
Se da una parte "Abbiamo avuto una fortissima spinta per effetto del dollaro sui prezzi petroliferi, e questo ha fatto saltare le previsioni di inflazione", dall'altra, "l'economia internazionale registra un andamento nettamente diverso da quello indicato nel Dpef".
Altro conto quindi è l'inflazione importata, e "la politica dei redditi - ha concluso D'Amato - si fa tenendo la rotta ferma sull'inflazione programmata, per questa ragione il numero che fa fede è quello del Dpef".
Se invece il riferimento fosse quello relativo "al dato dell'inflazione corrente avremmo un meccanismo di scala mobile".
Così facendo "correremmo il rischio di generare ulteriore inflazione".
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