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2) a firma di diversi psichiatri italiani, è pubblicato il contributo al titolo: "Il suicidio assistito per pazienti con depressione grave.
Un’opzione inaccettabile che gli psichiatri devono combattere fermamente".
Il dibattito sul suicidio assistito in pazienti affetti da depressione grave solleva questioni complesse di natura clinica, etica, scientifica, medico-legale e culturale.
Il presente contributo si propone di affermare che tale opzione non è accettabile nel contesto della malattia depressiva, anche nelle sue forme più … gravi e resistenti ai trattamenti.
La depressione non rappresenta una condizione irreversibile o terminale: esistono molteplici possibilità di trattamento, sono documentate remissioni anche spontanee e tardive, e l’ideazione suicidaria deve essere considerata un sintomo cardinale della malattia, non il frutto di una decisione ponderata.
Sotto il profilo scientifico, mancano biomarcatori affidabili per definire l’"incurabilità" della depressione e la prognosi del disturbo è spesso incerta.
Eticamente, il principio di non maleficenza impone al medico di non contribuire alla morte del paziente, mentre la vulnerabilità di chi soffre di depressione grave ne compromette la capacità di autodeterminazione.
Dal punto di vista medico-legale, è estremamente difficile valutare con certezza la capacità di "intendere e volere" in tali condizioni.
Infine, sul piano simbolico e culturale, la psichiatria deve riaffermare il proprio mandato di cura e di contrasto alla disperazione, evitando derive pericolose che potrebbero legittimare lo stigma e il contagio suicidario.
Lo psichiatra non può e non deve assumere il ruolo di facilitatore di morte, ma deve continuare a offrire cura, speranza e protezione anche nei contesti clinici più complessi.
sostenere il suicidio assistito per pazienti con depressione grave resistente contraddice il mandato terapeutico dello psichiatra, poggia su basi scientifiche del tutto fragili, espone a rischi etici e legali considerevoli e può avere gravi ricadute simboliche e culturali" La depressione, anche nelle sue forme più gravi, non equivale a una condizione terminale o certamente irreversibile (come nel caso di malattie oncologiche o di altre malattie incurabili durante la fase terminale) e il ruolo dello psichiatra è quello di curare, non di facilitare o addirittura procurare la morte.
Inoltre, rifiutare il suicidio assistito nella depressione grave non significa ritenere che ogni suicidio sia evitabile o che ogni paziente possa guarire: significa però ribadire il ruolo terapeutico della psichiatria.
Significa anche ricordare che nessun medico può essere ritenuto colpevole per non aver salvato ogni vita, ma ciascun medico ha il dovere - etico e clinico - di provarci con tutti i mezzi disponibili, tenendo anche presente che nella depressione grave l’ideazione suicidaria è un sintomo cardinale di malattia, non una libera scelta.
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